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Usura nelle province di Palermo e Trapani. Due arresti e sequestro beni di circa 20 mln

GLI ARRESTATI: Gaspare Delia e Francesco Abbate

Con l'accusa di usura la Guardia di Finanza di Palermo ha arrestato due palermitani, Francesco Abbate e Gaspare Delia, responsabili di aver gestito per anni un vastissimo giro di usura che ha coinvolto decine di imprenditori e commercianti della provincia di Palermo e di Trapani.

A fare scattare, circa un anno fa,  le indagini  condotte dai militari del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Palermo (Gruppo Tutela Mercato dei Capitali), sono state le denunce presentate da due imprenditori, ormai stremati dalle continue richieste di denaro da parte di uno degli indagati. L'ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata emessa dal GIP del Tribunale di Palermo, su richiesta della locale Procura della Repubblica che ha coordinato le indagini.

L'approfondimento delle investigazioni ha fatto emergere un quadro ben più ampio ed articolato del giro di affari illeciti gestito dai due indagati, di cui uno conosciuto nell'ambiente con l'appellativo "il Monaco": numerosi ed ingenti prestiti concessi a tassi di interesse esorbitanti, tra il 120% ed il 300% annuo.

Tra le vittime imprenditori, piccoli artigiani e commercianti, ma anche casalinghe e pensionati, tutti cittadini a cui il credito legale aveva ormai chiuso le porte e che la crisi economica che attanaglia anche il capoluogo siciliano ha posto di fronte ai drammatici problemi conseguenti ad un crescente indebitamento, come confermano le recenti statistiche che classificano la Sicilia tra le maggiori regioni a rischio di usura.

Ingente il patrimonio, accumulato negli anni con i proventi dell'usura, sequestrato agli indagati contestualmente al loro arresto: conti correnti, libretti di risparmio, quote di fondi comuni di investimento, titoli di Stato, quote societarie e 60 immobili tra appartamenti, ville, garage, locali commerciali, dislocati tra Palermo e Balestrate, nonché un prestigioso appartamento a Milano, per un valore complessivo di circa 20 milioni di euro.

A nulla è servito l'espediente di uno degli indagati di disfarsi formalmente dell'immenso patrimonio personale, trasferendolo cartolarmente ai figli.

Infatti, le indagini economico-patrimoniali condotte dalle Fiamme Gialle, hanno dimostrato come l'unica fonte di ricchezza che aveva permesso di realizzare tutti gli investimenti patrimoniali, fosse, di fatto, costituita esclusivamente dalla redditizia attività usuraria.

Ufficialmente, uno degli arrestati negli ultimi venti anni aveva dichiarato redditi ai limiti della sussistenza e persino perdite derivanti da un'attività di commercio di ceramiche, risultata

poi essere inattiva da diversi anni; nella realtà i prestiti concessi a tassi usurari hanno garantito a lui ed al suo socio rendite tali da non dover svolgere nessun altro lavoro.

Gli investigatori hanno quindi seguito gli arrestati per mesi, monitorando i loro spostamenti ed i loro quotidiani contatti con le numerose vittime, nonché esaminato la notevole mole di documentazione che ha permesso di ricostruire il vorticoso "giro di affari" riguardante l'attività usuraria e di individuare tutte le disponibilità finanziarie illecitamente accumulate.

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