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Trattattiva stato mafia: un processo per 4 (tribunali)

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Una gatta da pelare questo processo. Palermo se lo vuole tenere stretto, gli imputati (9 su 12) spingono per altre direzioni. Nuovo rinvio per l'udienza preliminare del processo sulla Trattativa stato mafia. Il prossimo 4 dicembre il presidente Piergiorgio Morosini deciderà sulla competenza territoriale del procedimento. Palermo, Roma, Firenze o Caltanissetta?

In aula l'ex ministro Calogero Mannino (per la prima volta dall'inizio dell'udienza preliminare), l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino (per cui il 15 novembre è stata rigettata dal Gup Morosini la richiesta di stralcio della posizione) e Calogero Mannino accompagnato dai rispettivi avvocati. Mannino ha eccepito la competenza territoriale del tribunale di Palermo e quindi chiesto di trasferire il procedimento a Roma (stessa richiesta avanzata dai legali di Dell'Utri), Mancino, accusato di falsa testimonianza, ha chiesto che il procedimento sia affidato al tribunale dei Ministri.

Come noto i boss Rina e Bagarella (in collegamento video), hanno chiesto invece di trasferire l'inchiesta a Firenze o Caltanissetta.

Udienza fiume quella di oggi. I pm palermitani hanno parlato tutti e quattro. Anche il "nuovo arrivato" Roberto Tartaglia che ha fatto un'analisi attenta e lucida dei fatti.


Le ragioni che "radicano la competenza della Autorità Giudiziaria di Palermo".

Secondo i pm sono da trovare partendo da quanto previsto dall'art. 16 c.p.p. («Competenza per territorio determinata dalla connessione secondo cui nei casi di «procedimenti connessi rispetto ai quali più giudici sono ugualmente competenti per materia», la competenza per territorio «appartiene al giudice competente per il reato più grave e, in caso di pari gravità, al giudice competente per il primo reato» . Il reato più grave è quello per cui è prevista la pena più elevata nel massimo e, sempre secondo il codice penale "in caso di parità dei massimi, la pena più elevata nel minimo». La pena per i reati(più gravi) contestati nel caso specifico, ovvero omicidio con l'aggravante della premeditazione, la strage (delitto che, in astratto, fonderebbe la competenza della Autorità Giudiziaria di Firenze), è quella, senza alternative, dell'ergastolo.

Pari gravità dunque e quindi secondo l'accusa non resta che dare applicazione sempre secondo l'art.16 c.p.p. al criterio della priorità temporale che conduce, secondo i pm di Palermo, all'omicidio di Salvo Lima come il primo tra i reati più gravi.

Già questo - si legge nella memoria presentata al giudice Morosini - dimostra l'infondatezza della prospettata competenza delle autorità giudiziarie fiorentina e romana.


I collegamenti tra le stragi e la trattativa.

Secondo i pm le "stragi del continente" possono considerarsi collegate alla Trattativa, collegamento invece non riscntrato per la strage di Capaci.

"Il compendio degli elementi probatori, in gran parte valutati anche da più sentenze delle Corti di Assise di Caltanissetta e Catania, induce a ritenere che l'omicidio di Giovanni Falcone sia da ricondurre a moventi e finalità comunque estranei alla condotta di cui al capo A) (la trattativa, ndr) e principalmente riconducibili alla vendetta nei confronti del «nemico storico», che era riuscito ad incidere pesantemente nei confronti di Cosa Nostra anche nella sua veste di direttore degli Affari penali. Alla finalità vendicativa certamente si accompagnava una finalità spiccatamente preventiva, volta a neutralizzare i pericoli che all'organizzazione mafiosa sarebbero derivati dalla prospettata nomina del dott. Falcone alla carica di Procuratore Nazionale Antimafia, ma anche – ed ancor più nell'immediatezza – dalla continuazione di quella vera e propria strategia di contrasto incisivo che lo stesso, con il sostegno politico del Ministro Martelli e in piena sintonia con il Ministro dell'Interno Scotti, aveva sviluppato fin dal primo momento successivo alla sua nomina a direttore degli Affari penali".

Secondo i pm invece sulla base degli elementi di prova acquisiti, è possibile ritenere l'esistenza di un collegamento tra la «trattativa», scaturita dalla minaccia, e la strage di via D'Amelio. Paolo Borsellino fu ucciso per proteggere la trattativa. Venutone a conoscenza avrebbe potuto pregiudicarne l'esito, rivelandone e denunciandone pubblicamente l'esistenza. Era dunque un pericolo e andava  eliminato.

In questo senso, secondo i pm, "può certamente escludersi la configurabilità di una di quelle relazioni strumentali espressamente e tassativamente previste dall'art. 12 c.p.p. ai fini della competenza per connessione".

Stamattina inoltre l'avvocato di Provenzano ha chiesto l'incapacità di intendere e di volere per il boss e quindi la sua impossibilità ad essere presente alle udienze. Morosini ha richiesto degli accertamenti ed entro il 29, sarà indicato il perito.