Tiene banco la memoria scritta dai pm di Palermo nell'ambito della presunta trattativa tra lo Stato e Cosa nostra. Secondo la ricostruzione inviata ieri dalla Procura di Palermo al giudice per le indagini preliminari, prima della prossima udienza fissata per il 15 novembre all'Ucciardone, i contatti tra mafiosi e istituzioni non si fermarono al biennio 1992-93 ma proseguirono anche nel '94 . "La travagliata trattativa - si legge nel documento -trovò il suo approdo nelle garanzie assicurate dal duo Dell'Utri-Berlusconi", con l'avvento al potere del primo governo della Seconda Repubblica. Ma Niccolò Ghedini, legale dell'ex premier, non ci sta.
''In relazione alle costruzioni forzose e strumentali contenute nel documento della Procura di Palermo, per fare chiarezza e perchè la verità dei fatti abbia il sopravvento, è bene ricordare che il governo Berlusconi si è distinto per una lotta alla mafia in prima linea", afferma il segretario Pdl. "Ė assurdo e privo di fondamento sostenere che l'ingresso in politica di Silvio Berlusconi avrebbe tranquillizzato la mafia", dice invece Ghedini.
La memoria ricostruisce i passaggi cardine dell'inchiesta condotta da Antonio Ingroia assieme ai pm Nino Di Matteo, Lia Sava, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia. Il primo a muoversi fu Totò Riina che avrebbe trattato con il comandante del Ros dei carabinieri, il generale Antonio Subranni, con il suo vice, il colonnello Mario Mori, e con il capitano Giuseppe De Donno. La trattativa proseguì nel 1993, dopo le stragi di Capaci e via D'Amelio. "Questo Ufficio è consapevole del fatto che non si è del tutto rimossa quella forma di grave amnesia collettiva della maggior parte dei responsabili politico-istituzionali dell'epoca (un'amnesia durata vent'anni) - scrivono i pm - che avrebbe dovuto arrestarsi, se non di fronte alla drammaticità dei fatti del biennio terribile '92-'93, quanto meno di fronte alle risultanze (anche di natura documentale) che confermavano l'esistenza di una trattativa".
Nel 1994 l'epilogo, "allorquando le ultime pressioni minacciose finalizzate ad acquisire benefici e assicurazioni hanno ottenuto le risposte attese". Allentare il 41 bis e restituire i beni ai mafiosi. non erano questi gli unici obiettivi. In ballo c'era "assai più ambiziosamente un nuovo patto di convivenza Stato-mafia, senza il quale Cosa Nostra non avrebbe potuto sopravvivere e traghettare dalla Prima alla Seconda Repubblica". Un progetto ambizioso avviato con l'assassinio di Salvo Lima, il 12 marzo del 1992: "La risposta di Cosa nostra allo Stato che, dopo la sentenza di Cassazione del maxiprocesso, aveva messo in crisi la credenza d'impunità dei boss, condizione essenziale per la sopravvivenza dell'organizzazione criminale mafiosa stessa".