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Trattativa Stato mafia. Il processo si fa, tutti rinviati a giudizio. Ingroia: ''E' una bella giornata''

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Dopo due ore di camera di consiglio il Gup Piergiorgio Morosini ha deciso di rinviare tutti a giudizio, come richiesto dai pm di Palermo Vittorio Teresi, Nino Di Matteo, Lia Sava, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia.

Dodici gli imputati in tutto tra mafiosi, politici, generali dell'arma. Per due di loro la posizione è stata stralciata, parliamo di Bernardo Provenzano, che al momento è fuori dal procedimento perché dichiarato dai periti incapace di stare in audizione a causa delle sue condizioni psicofisiche e quella dell'ex ministro Calogero Mannino, che ha chiesto e ottenuto di essere processato col rito abbreviato e che sarà giudicato a partire dal 20 marzo. Morosini ha ritenuto che "non sussistono i presupposti per pronunciare sentenza di non luogo a procedere" e ha emesso un "decreto di scomposizione dei fatti e indicazione analitica delle fonti di prova" .

Il processo inizierà il 27 maggio di fronte alla seconda sezione della Corte D'Assise presso il carcere Pagliarelli di Palermo.

 Presenti Massimo Ciancimino (in aula) e in videoconferenza Leoluca Bagarella e Totò Riina. Presente anche Giovanni Brusca attraverso però un sito protetto. Rinunciante Antonio Cinà. Assenti invece Marcello Dell'Utri, Nicola Mancino, Mario Mori e Antonio Subranni. Sono loro i dieci imputati rinviati a giudizio.

70 faldoni e oltre 300 mila pagine di atti, più tanto altro materiale probatorio acquisito a sostegno della richiesta di rinvio a giudizio, per un'indagine iniziata 4 anni fa e un'udienza preliminare durata circa 4 mesi che ha portato il giudice Morosini a questa scelta.

Non sono mancate delle osservazioni da parte del Gup al lavoro fatto dalla procura di Palermo legate in particolare alla memoria presentata il 5 novembre scorso dai pm di Palermo che secondo Morosini "Non affronta il tema delle fonti di prova a sostegno della richiesta di rinvio a giudizio sui diversi punti della piattaforma accusatoria e sulle differenti posizioni processuali, limitandosi a generiche affermazioni sulle finalità e sugli approdi dell'inchiesta partita dal presente procedimento, nonché ad alcune annotazioni sulle questioni di competenza territoriale per materia".

I Pm di Palermo sono soddisfatti (ascolta QUI le dichiarazioni), "L'indicazione degli elementi di prova non era analitica, il che con 300 mila pagine di atti potrebbe anche capitare. Nella discussione delle parti – ha detto Di Matteo – a partire dalla pubblica accusa, invece sono state tutte analiticamente esposte. Il Gup ha ritenuto, anche per facilitare, di indicare tema di prova per tema di prova.

Gli fa eco il pm Roberto Tartaglia: "Il Gup – va sottolineato – che non ha modificato il capo d'imputazione, ha dato delle indicazioni delle fonti di prova, ma rimane anche l'impianto d'imputazione, se lo avesse modificato infatti ne avrebbe dato lettura""

Si va in corte d'Assie dunque e senza Provenzano, nonostante la sua posizione sia stata stralciata per un fatto accidentale, come ha specificato il pm Teresi.

Abbiamo contattato Antonio Ingroia, perché è con lui che questo procedimento ha preso forma. Sollievo e soddisfazione sono le due emozioni che questa "bella giornata" gli hanno portato. "Sollievo perché ho avuto la riprova del fuoco che in Italia ancora la giustizia può essere uguale per tutti e quindi vale anche per i potenti. Soddisfazione – continua – non tanto per la sorte degli imputati ma perché si è confermata la bontà della validità e solidità dell'accusa della procura di Palermo. Forse questo porterà tutti quelli che hanno attaccato i pm e che hanno avuto un approccio superficiale a questo processo, a chiedere scusa".

Duqnue, ricapitolando, gli imputati sono: Totò Riina, il pentito Giovanni Brusca , Leoluca Bagarella e Antonino Cinà, l'ex ministro della Dc Calogero Mannino, l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino che risponde di falsa testimonianza, il senatore del Pdl Marcello Dell'Utri, i generali dell'Arma Mario Mori e Antonio Subranni e l'ex colonnello Giuseppe De Donno e Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo, Vito, accusato anche di concorso in associazione mafiosa e calunnia aggravata. nei confronti dell'ex capo della polizia Gianni De Gennaro.

I reati contestati sono quelli di attentato, con violenza o minaccia, a corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato, tutto aggravato dall'agevolazione di Cosa nostra.

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