I pm di Palermo cercarono, lo scorso anno, di avere dal senatore a vita Giulio Andreotti, chiarimenti in merito alla domanda che fece a Susanna Lima durante l'incontro avvenuto a Roma dopo l'omicidio del padre. Ma non ci riuscirono; Andreotti più volte presentò certificati medici che attestavano l'impossibilità ad incontrarre i magistrati; poi è morto, portandosi via tante verità.
Ieri al bunker Ucciardone di Palermo, nell'ambito del processo sulla trattativa stato –mafia, sono stati ascoltati due testi, l'attuale questore di Piacenza Calogero Germanà e la figlia dell'onorevole Lima.
Una deposizione, quella di quest'ultima senza colpi di scena, che come lei stessa ha dichiarato a seguito delle domande degli avvocati Basilio Milio, difensore di Mario Mori e Cianferonir legale di Riina, è stata spinta più dalla forte volontà di rivedere in qualche modo l'ipotesi sull'omicidio di suo padre. motivo per cui ha chiesto di essere ascoltata dai pm di Palermo: "Mi sarei aspettata una ricerca un po' diversa della verità, perché ho certezza che mio padre non è stato ucciso perché non rispettava dei patti. Quel processo fu un processo a mio padre più che agli assassini di mio padre".
La deposizione di Susanna Lima è partita dunque dai giorni seguenti alla morte del padre, ammazzato a Mondello il 12 marzo del 1992.
"All'indomani dell'omicidio - ha chiesto il pm Roberto Tartaglia – ebbe modo di parlare con colleghi politici di suo padre di quanto accaduto?
"Si - risponde – con diverse persone. Come ad esempio tutti i colleghi di partito a livello locale. Di non "locali", incontrai Andreotti. Lo conoscevo per le volte in cui era venuto qui per manifestazioni politiche.
L'ho incontrato tra il 12 aprile e il 12maggio a Roma a palazzo Giustiniani. L'incontro con fu cercato da entrambi ed era presente anche mio marito, non ricordo se c'era qualcun altro.
In quell'occasione parlammo dell'omicidio e Andreotti mi fece una domanda inaspettata, mi disse "Con la morte di tuo padre, seconde te, c'entra qualcosa Ciancimino?". E io dissi che non ne avevo idea. Non mi aspettavo questa domanda e non potevo approfondire l'argomento perché non ne sapevo nulla".
Poi il pm ha chiesto dei rapporti tra il padre e l'ex sindaco mafioso di Palermo. "Erano politici - risponde la figlia di Lima – e non personali, non si frequentavano".
"Ricorda di aver incontrato Mannino prima dell'omicidio o che lo abbia incontrato suo padre?" chiede il pm. "No - risponde - e mio padre non so".
La deposizione di Calogerò Germanà Attualmente questore di Piacenza, in Polizia dal 1980. Dopo l'omicidio Lima fu inviato a Palermo: "Fu il procuratore Borsellino - ha detto al pm Nino Di Matteo - che sollecitò la mia applicazione a Palermo - ha raccontato Germanà – e iniziai a fare attività investigative che riguardavano la mafia trapanese. In quel periodo, fino al giugno del 1992, mi occupai di un'indagine che prendeva spunto da una relazione del giudice Scaduti, all'epoca presidente della corte d'Assise di Palermo e che seguiva l'omicidio del capitano dei carabinieri Emanuele Basile.
Su delega della dottoressa Alessandra Camassa e il dottor massimo Russo quindi dell'autorità giudiziaria di Marsala me ne occupai. Una delega con diversi capitoli di indagine. Mi fu data nel mese di aprile e dopo circa un mese consegnai una prima informativa.
"Ma da cosa era scaturita la delega? Cosa aveva denunciato Scaduti?" chiede Di Matteo.
"Il punto nodale era identificare un parlamentare di nome Enzo. L'antefatto era legato ad un episodio riconducibile ad una azione che tendesse ad influenzare l'esito di un processo e si era risolto in un incontro promosso dal notaio Ferraro nei confronti di Scaduti.
Per meglio capire – continua Germanà – il nesso era che il notaio era stato sollecitato da questo parlamentare di nome Enzo, la cui militanza parlamentare era manniniana. Il riferimento all'area manniniana era nella delega. E quindi inziai gli accertamenti.
La richiesta fatta dal notaio Pietro Ferraro a Scaduti era stata telefonica e la giustificazione data per l'urgenza era che il ministro doveva partire. Spese dunque il nome del ministro per farsi ricevere in fretta.
Si faceva accenno anche alla massoneria in questo contesto. Il padre del notaio Ferraro apparteneva alla massoneria.
"Erano tre i nominativi "puntati" tra i quali quelli di politici "trombati" alle lezioni regionali. Si cercava in ambienti massonici e poi c'era da individuare l'area manninana. Nella rosa dei parlamentari un Enzo era stato identificato in Enzo Culicchia della provincia di Trapani e dovevamo muoverci in diverse direzioni. Un giorno venni avvicinato dal segretario di Culicchia, che mi disse che non era Culicchia l'Enzo che cercavamo, ma era Enzo Inzerillo. Quando era a Palermo ebbi modo di incontrare il dottore Borsellino. Gli accennai che stavo facendo questa indagine ma non abbiamo mai argomentato la cosa. Fu prima della consegna dell'informativa".
Proprio relativamente alla consegna dell'informativa accadde un fatto anomalo secondo Germanà: "Era venerdì mattina Il capo della polizia Rossi mi disse di incontraci e di andare subito a Roma. Io volevo partire il lunedì seguente e lui mi disse invece di raggiungerlo subito. E così feci. Mi chiede se nell'informativa ci fosse qualcosa su Mannino, e io per una sorta d timore reverenziale gli dico che avrei riguardato le carte perché a memoria non mi pareva. L'indomani mattina lo chiamai e prefetto e gli dissi che si faceva riferimento a Mannino, ma in una circostanza ben precisa, nulla di che. Durante quella telefonata, si avvicinò il dottore Costanza che mi disse che aveva già inviato il rapporto a Rossi".
"Era mai capitato prima del maggio del '92 che il vicecapo della polizia la convocasse a Roma per avere notizie su un indagine?" chiede il pubblico ministero "A me mai" risponde Germanà. "L'esigenza di andare a Roma e parlare con lui, sicuramente non fu mia. Ci sarà stata quindi un'esigenza amministrativa, non mia".
Subito dopo l'indagine, Germanà viene rispedito a Mazara, senza essere interpellato. "Fu il dottore Franchina ad informarmi delle cosa e che avrei preso il suo posto al commissariato, era il 7 giugno 1992.
Poco prima di essere trasferito a Mazara, Mannino aveva chiesto di incontrarmi, tramite un mio cugino, Virginio Amodeo, ma non andai e non ho mai saputo cosa volesse.
La mattina dell'8 giugno passai prima da Borsellino. Apprese del mio trasferimento e mi chiese il perché, quale fosse motivazione".
La prossima udienza è fissata per il 7 novembre con l'esame, in collegamento audiovisivo, dei collaboratori di giustizia Francesco Onorato e Giovanbattista Ferrante.
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