Il verdetto tanto atteso è stato pronunciato. Il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha rigettato la richiesta avanzata dai difensori di Totò Cuffaro di affidamento ai Servizi sociali, e ciò nonostante il parere favorevole della Procura Generale che, però, aveva indicato come eventuale sede territoriale Roma, l'Istituto dei Ciechi, e non Palermo, la Missione Speranza e Carità di Biagio Conte, come avrebbe desiderato l'ex Presidente della Regione Siciliana. Perché il no? Per mancata collaborazione alle indagini, nemmeno sotto forma di ammissione delle responsabilità. Per memoria, Cuffaro è stato condannato a sette anni di reclusione per favoreggiamento aggravato dall'agevolazione a Cosa Nostra. Inutile giraci intorno, il Tribunale ha ragione. E' vero, in questo Paese di furbi dove chi ha più potere, soprattutto mediatico ed economico, riesce a farla franca, anche di fronte ad una condanna definitiva, Totò Cuffaro ha dato un esempio di rispetto delle istituzioni e delle sentenze della magistratura. Fino a un certo punto e, comunque, non basta. Fino a un certo punto perché il rispetto delle istituzioni non si può limitare a un contegno esteriore ineccepibile, e perché il rispetto delle sentenze non può prescindere da un comportamento sostanziale collaborativo durante tutta la fase preliminare delle indagini e del processo. L'ex governatore della Sicilia aveva già abbondantemente compromesso il decoro delle istituzioni regionali, di cui era il più alto rappresentante, in nome e per conto di cinque milioni di siciliani, nel momento in cui aveva accettato di incontrare mafiosi e di rivelare segreti d'ufficio che riguardavano esponenti di Cosa Nostra. Sul secondo punto, non si è mai sentita uscire dalla sua bocca la frase 'chiedo scusa, ho sbagliato', anzi, si è sempre dichiarato estraneo ai fatti contestati. Mi piacerebbe incontrare Cuffaro e parlargli. Lui avrebbe avuto il dovere, come forma di risarcimento ben più prezioso di una pena detentiva per una terra martoriata e impregnata di sangue di martiri innocenti uccisi per mano mafiosa, e per dare un messaggio positivo ai giovani, di ammettere le sue colpe per le quali avrebbe dovuto chiedere perdono. Ciò non è avvenuto in alcun momento, né nel processo, né subito dopo, né nel periodo della sua carcerazione. Un'altra considerazione, la esprimo da cattolico. Lui ha sempre impastato le sue vicende giudiziarie con la sua fede, in particolare fede nella Madonna. E su questa china religiosa ha chiesto, appunto, l'affidamento alla Missione di Biagio Conte. Non voglio entrare in un campo strettamente privato e delicato, solo Dio, per chi crede, può giudicare le coscienze, ma l'equivoco qui in Terra deve finire. Lui è salesiano come me. Don Bosco diceva ai suoi sacerdoti che occorre educare i giovani a essere "buoni cristiani e onesti cittadini". Ora, si può essere onesti cittadini senza essere buoni cristiani, non serve nemmeno essere cristiani, non è possibile il contrario. Non si può essere buoni cristiani se non si è onesti cittadini. Valuti lui il senso profondo dell'insegnamento attualissimo di don Bosco. Forse, fino all'esternazione di tale valutazione, la Chiesa palermitana e Biagio Conte avrebbero dovuto garbatamente rifiutare l'offerta di svolgere il servizio presso una comunità cattolica. Mi dispiace, ma certe cose bisogna dirle, pure se fanno male.
Pippo Russo