Una sentenza di 21 pagine quella depositata ieri e in cui sono racchiusi 33 anni di battaglie degli eredi di Davanzali. La terza sezione civile della Cassazione ha accettato il ricorso della figlia del patron di Itavia, Luisa, portando dunque i ministeri del Trasporto e della Difesa, di nuovo davanti ad un Tribunale.
E pochi giorni fa intanto la Corte d'Appello di Roma ha condannato gli stessi ministeri a pagare un risarcimento di oltre 265 milioni di euro alle Aerolinee Itavia Spa per "omessa attività di controllo e sorveglianza della complessa e pericolosa situazione venutasi a creare nei cieli di Ustica".
Due sentenze che sono legate a doppio filo e che si intrecciano inevitabilmente con il processo d'appello che riprenderà a Palermo nel 2015.
I familiari di Aldo Davanzali, hanno sempre lottato per far si che venisse accreditata la tesi del depistaggio, hanno sempre lottato contro quelle "omertà e menzogne" che volevano invece come unica verità sulla strage di Ustica del 27 giugno 1980, il cedimento strutturale del velivolo.
Davanzali fu accusato di far "volare delle carrette," di far viaggiare la gente in "bare volanti". Il prezzo da pagare, sulla stampa, per essersi pian piano inserito nel mercato - monopolizzato - dell'aviazione civile .
Lui aveva sempre sostenuto che il DC9 era stato abbattuto da un missile, ma fu indiziato per il reato di "diffusione di notizie esagerate e tendenziose".
Adesso la Cassazione, ha accettato il ricorso, della figlia stabilendo che il dissesto di Itavia potrebbe essere l'effetto della "significativa attività di depistaggio" inziata subito dopo il disastro. Secondo i familiari di Davanzali, la compagnia aerea fu utilizzata come capro espiatorio, per nascondere ciò che davvero accadde nel cielo quella notte.
Davanzali è morto nel frattempo, cercando di difendersi dall'accusa di aver ucciso 81 persone; lo scorso 28 gennaio la terza sezione civile della Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato dal ministero della Difesa e delle Infrastrutture definendo "Abbondantemente e congruamente motivata" la tesi che fu un missile ad abbattere il Dc9 dell'Itavia ad Ustica.
Ora la Corte d'appello di Roma, avrà il compito di rivalutare l'incidenza di quell'attività di depistaggio e discredito, anche secondo la "teoria della Condicio sine qua non", dei rapporti di casualità, che legano avvenimenti e conseguenze. Secondo la cassazione inoltre, si legge sempre nella sentenza, la tesi del missile "risulta ormai consacrata pure nella giurisprudenza" e "il giudice di primo grado ha ritenuto dimostrata una intenzionale attività di inquinamento probatorio, ripetuta, duratura nel tempo, svolta a livelli decisionali e operativi, posta in essere da militari dell'Aeronautica militare, sia presso le strutture di base, sia presso il vertice dell'Amministrazione'".
Torniamo però al maxirisarcimento che lo Stato deve a Itavia Una storia che com'è noto parte da lontano.
Nel 2003, il giudice di primo grado aveva accolto la richiesta di risarcimento da parte della compagnia aerea; nella sentenza del 26 luglio, si leggeva infatti "Il DC 9 è stato intercettato e abbattuto da un missile dotato molto probabilmente di una testa di guerra. La contemporanea circolazione di un altro aereo (ovvero di due altri aerei) lungo la stessa rotta assegnata poco tempo prima della caduta dell'aereo Itavia è quindi un fatto colposo imputabile in concorso ai tre ministeri".
Ne seguì inevitabilmente il ricorso da parte dell'avvocatura dello Stato. Ricorso accolto dalla corte d'appello di Roma che con sentenza del 23 luglio del 2007, aveva rigettato la domanda di risarcimento della compagnia aerea.
Nel maggio del 2009, la Cassazione decise di rinviare il fascicolo ai giudici di secondo grado e nell'agosto del 2012, arrivò la nuova sentenza che chiedeva l'accertamento delle responsabilità dei due Ministeri: "Il primo (il ministero dei Trasporti) ha l'obbligo infatti di impedire l'accesso di aerei non autorizzati o nemici. Il secondo (Difesa) ha il dovere di garantire l'assistenza e la sicurezza del volo. Né si può far ricorso a un'imprevedibilità o straordinarietà dell'evento". Secondo la seconda sezione civile, per il principio del "più probabile che non" era "fortemente plausibile la presenza di altri aerei nelle immediate vicinanze del DC 9" e dunque ipotizzabile che sia stato lanciato un missile.
Sui responsabili ancora non si fa luce, c'è un'inchiesta aperta ma che continua a non portare a nulla.
Sui risarcimenti ai familiari delle vittime
Con sentenza del 10 settembre 2011, il Tribunale ha condannato i ministeri della Difesa e dei Trasporti al pagamento di un totale di 110 milioni di euro come risarcimento agli 81 familiari costituitisi parti civili nel processo. L'avvocatura dello Stato ha chiesto alla prima sezione della corte d'appello di Palermo presieduta da Rocco Camerata Scovazzo, di sospendere l'esecutività della sentenza. Sospensiva ottenuta e rinvio per l'appello al 15 aprile 2015, data in cui ha spiegato il collegio "Si dovrà stabilire se sussistano i presupposti per il risarcimento e, in questo caso, si dovrà definirne l'ammontare dello stesso".
Alla luce delle due sentenze di cui vi abbiamo dato conto (quella della Cassazione di ieri e quella della Corte d'Appello di Roma sul maxi-risarcimento), attendiamo di capire quali siano i presupposti che secondo il giudice Camerata Scovazzo, potrebbero non sussistere.
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