Dunque Palermo avrà il suo quarto mega centro commerciale, 274.000 mq di asfalto e cemento situato nella fu Piana dei Colli ma intestato alla fu Conca d’oro. Dopo il Poseidon, la Torre, il Forum, arriva nei pressi dello Zen l’ultimo luna park del consumismo atteso con ansia e trepidazione: ma come, dalle nostre parti solo capannoni e magazzini e niente shoppificio? Zamparini ha fatto il miracolo di superare ogni riserva storico-ambientalista per via del Fondo Raffo e della settecentesca villa martirizzati et voilà, il centro eccolo qua in tutta la sua estensione di edifici e spianate con centinaia di negozi, ipermercati alimentari, megastore, ristoranti e bar, gallerie, cinque piazze con locali d’intrattenimento, 2.900 posti auto ma non manca il giardino da 56.000 mq, un paese dei balocchi segnalato a distanza da ciuffetti di torrini pendenti in funzione comunicativa di richiamo. Chi è favorevole a questi «grandi spazi di aggregazione per le famiglie», come pubblicizzato dai promotori, conta le «ricadute occupazionali» nei 1.400 posti di lavoro che qui si creeranno, dimenticando di bilanciarli con quelli che si vanno perdendo per la crisi dei piccoli e medi esercizi commerciali che già chiudono in città (ultimi i Migliore, che sembravano inaffondabili). I fan vantano pure i prezzi più bassi che solo le grandi distribuzioni possono spuntare, la comodità di avere a portata di sguardo un’ampia scelta di merci, di poter caricare gli acquisti sull’auto parcheggiata senza l’ansia del posto che non si trova, di potervi trascorrere intere giornate senza neppure aver modo di visitarle tutte, le stazioni della sfavillante via dello shopping obbligato.
I detrattori ne enumerano viceversa gli effetti negativi: 1- consumo esorbitante di suolo, giacché le dimensioni smisurate dei centri richiedono aree libere fuori città, anche aree agricole produttive; 2- consumi spropositati di risorse come acqua per tutti gli usi, energia elettrica e metano per illuminare riscaldare raffreddare lavorare, suolo e sottosuolo per fognature impianti canalizzazioni strade svincoli parcheggi; 3- desertificazione di pezzi di campagna, sia per la vastità e irreversibilità della impermeabilizzazione dei terreni che per la “conurbazione” che estende i confini urbani fino a saldare il costruito senza soluzione di continuità; 4- desertificazione di pezzi di città, poiché tra negozi che si spostano fuori e negozi che chiudono i battenti non reggendo l’urto della concorrenza, molte strade urbane si impoveriscono di commerci attività movimento luci attrattive e varietà di funzioni, e quando ciò avviene in ambiti storici bisognosi di manutenzione, il degrado da abbandono immiserisce ancor più i quartieri e fa scappare gli abitanti. Va bene, a tanti piace questa nuova consuetudine di trascorrere giornate tra merci in vetrina e offerte rilassanti di cinema e bar e giochini, ma se attecchisce nelle giovani generazioni, specie quelle con modesto bagaglio di istruzione, per mancanza di alternative appena un poco più “culturali” (teatro, musica, letteratura…, dove li incontrano?), queste corrono il rischio di scambiare per sempre “tempo libero” con “tempo vuoto” da riempire comunque e dovunque, e non cercheranno né pretenderanno altro. Già ora, come stanno le cose per l’inerzia delle istituzioni, non c’è niente di meglio delle opportunità consumistiche dei centri commerciali, ove si coltiva un modo di “stare insieme” - non proprio “aggregare”, poiché le frotte di visitatori sono in prevalenza occupate a guardare comprare mangiare chiacchierare - che farà bene al commercio, alle industrie, al Pil e all’economia del Paese, ma chissà se gioverà davvero anche al “benessere” in senso lato di territori città ambiente società individui persone cose.