"Una trattativa tra mafia e Istituzioni indubbiamente ci fu e venne, quantomeno inizialmente, impostata su un 'do ut des'. Si legge così nella sentenza con cui il Tribunale di Firenze ha condannato all'ergastolo, il 5 ottobre 2011, il boss del Brancaccio Francesco Tagliavia, nel processo per le stragi mafiose del 1993-94 e unico imputato nel processo sulla strage di Firenze del 27 maggio 1993. "L'iniziativa - si precisa - fu assunta da rappresentanti dello Stato e non dagli uomini di mafia" e ''l'obiettivo che ci si prefiggeva, quantomeno al suo avvio, era di trovare un terreno con 'cosa nostra' per far cessare la sequenza delle stragi''.
Secondo i giudici fiorentini, "è verosimile che tutti gli apparati, ufficiali e segreti, dello Stato temessero sommamente altri devastanti attentati dopo quello di Capaci, nella consapevolezza che in quel momento non si sarebbe saputo come prevenirli , si brancolava abbastanza nel buio, soprattutto sul piano dell'intelligence". La trattativa, iniziata dopo Capaci, si sarebbe interrotta con l'attentato di via D'Amelio in cui il 19 luglio 1992 venne ucciso il giudice Paolo Borsellino.
Nella sentenza i giudici sottolineano che "le gravi affermazioni formulate da alcuni collaboratori sul senatore Dell'Utri e su di un consapevole appoggio dato alla mafia dallo stesso Silvio Berlusconi e dal movimento politico da lui fondato nel '93, a quel che consta non hanno ricevuto una verifica giudiziaria neppure interlocutoria".
Il procedimento conclusosi con la condanna di Tagliavia era stato aperto a seguito delle dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza, finito al centro della polemica politica per aver messo a verbale di aver saputo dal boss Giuseppe Graviano di rapporti fra Cosa Nostra e Berlusconi e Marcello Dell'Utri, circostanza poi negata da Graviano ai giudici.