News Sicilia

Agenzia di Stampa Italpress
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Quando lo Stato negò i fondi a Dalla Chiesa per trovare Placido Rizzotto

rizzotto

Ci sono voluti 60 anni per avere la certezza di aver ritrovato i resti del sindacalista Placido Rizzotto, uno dei pionieri dell'antimafia, un corleonese che diceva no alla mafia ed ai mammasantissima prima ancora che una vera ideologia dell'antimafia esistesse realmente. Oggi si aggiunge un nuovo particolare, inquietante, all'indomani della "scoperta" di una trattatvia tra mafia e Stato e la commemorazione dell'omicidio di Lima.Pare infatti che nel lontano dicembre del 1949 il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, dopo un'indagine serrata, avesse scovato non solo i mandanti dell'omicidio, ovvero Luciano Liggio ed i suoi giovani rampanti, ma avesse scoperto esattamente dove si trovava sepolto Placido Rizzotto. Una rivelazione sconvolgente, per chi ancora non si rende conto dei legami stretti in alcuni periodi storici tra mafia ed apparati statali.

Dai diari dell'epoca in possesso della Camera del Lavoro di Corleone, viene fuori come il generale Dalla Chiesa avesse chiesto un milione e 750 mila lire dell'epoca per procedere alla riesumazione del cadavere. Dal diario leggiamo:

Il giorno 6 di questo mese gli uomini hanno identificato la “Ciacca”. Una grossa pietra venne allora calata con una fune lunga 50 metri circa e si riportò il convincimento che la fatica fosse stata coronata del successo. Due giorni dopo con un sistema a mo’ di carrucola si fece scendere il dipendente carabiniere Notari Orlando che vide prima di svenire figure informi. Vennero recuperati i resti di tre corpi nel cimitero della mafia corleonese. Uno scarpone americano, un legaccio e una calza furono riconosciuti dai genitori di Rizzotto.

Ma la storia andò avanti, il pretore Giovanni di Miceli era cugino di Michele Navarra, altro mandante dell'omicidio Rizzotto e l'intera vicenda venne insabbiata. Quelle carte furono "disperse" nei meandri del tribunale fino al 2008, quando la polizia di Corleone, seguendo i consigli della Camera del Lavoro di Corleone e del suo segretario, Dino Paternostro, hanno finalmente riportato alla luce l'intera vicenda.