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Processo Mori. Di Matteo: ''Riccio voleva catturare Provenzano ma fu bloccato dai vertici del Ros''

La requisitoria riprenderà il prossimo 5 aprile. Nelle 4 ore e mezzo di ieri, il pm di Palermo Nino Di Matteo ha ripercorso i fatti più importanti della sua tesi d'accusa che porta ad indicare Mori come il principale responsabile della non avvenuta cattura di Provenzano nel '95.

Con Di Matteo erano presenti in aula i pm Teresi, Del Bene e Tartaglia. Assente l'imputato ex capo dei Ros.

Il sostituto procuratore è partito dunque dai rapporti tra il colonnello Michele Riccio, il grande accusatore del generale Mori e del colonnello Obinu (dichiarazioni accusatorie rese davanti al Tribunale di Palermo, nel processo penale a carico di Marcello Dell'Utri, alle udienze dibattimentali del 14 e 21 ottobre 2002, ndr) e Luigi Ilardo, reggente della famiglia di Caltanissetta, resosi disponibile a farsi arrestare in funzione di una successiva fase di collaborazione con la Giustizia, che mai iniziò in modo "ufficiale", perché Ilardo fu ucciso il 10 maggio del 1996, solo qualche giorno prima del suo interrogatorio davanti all' autorità giudiziaria.

La requisitoria  poi si è spostata sul coinvolgimento del generale Mori e del suo sottoposto, il colonnello Mauro Obinu, che secondo l'accusa «hanno dialogato con la mafia perché già collusi. Obbedendo a indirizzi di politica criminale per contrastare la deriva stragista, ha ritenuto di trovare un rimedio nell'assecondare la prevalenza dell'ala moderata della mafia, quella refrattaria alla strategia di contrapposizione frontale allo Stato realizzata con omicidi eccellenti ed eclatanti. Era necessario per questo garantire la latitanza a Provenzano».

Di Matteo ha evidenziato l'esistenza di un "Flusso di informazioni in evoluzione" che confluivano in direzione della Procura della Repubblica. Informazioni fornite ai magistrati di Palermo (Pignatone Caselli, ndr) da Riccio. Ma il "puntuale collegamento informativo" subì un'interruzione, in coincidenza con il transito del colonnello  Riccio dalla D.I.A. al R.O.S.

Le indagini che Riccio svolgeva in Sicilia e che avevano già portato all'arresto di 6 boss mafiosi, erano note a tutti. Quando l'indagine arrivò ai Ros, fu fatta affossare per garantire la latitanza del mafioso. Il pm ha ricordato più volte, come il 20 luglio del 1996, Riccio non poté sottoscrivere il rapporto Grande Oriente.

Di Matteo parla di filtro, anzi di "Tappo del comando Ros". Nell'ottobre 1995 Riccio, proveniente dalla D.I.A., era rientrato nei ranghi dell'Arma dei Carabinieri ed assegnato al Reggimento a cavallo della Divisione Palidoro della quale il Gen. Antonio Subranni era il Comandante. (Subranni negherà la paternità della decisione di aggregare il colonnello Riccio al R.O.S., indicando invece come autore della scelta, il comando generale. Inoltre escluderà anche di essere a conoscenza dell'attività che Riccio stava svolgendo sulla scorta dell'apporto informativo offertogli da Ilardo. Dichiarazioni, quelle di Subranni, smentite dalle deposizioni del Gen. Nunzella e del Gen. Ganzer che non solo attribuirono a Subranni la decisione di aggregare Riccio, ma  anche affermarono che la scelte muoveva dalla "riconosciuta e condivisa esigenza di consentire al suddetto ufficiale di proseguire l'attività di ricerca dei latitanti originata dall'apporto informativo offertogli da Ilardo", ndr )

L'incontro a Mezzojuso tra Ilardo e Provenzanoil 31 ottobre '95,  secondo quando aveva proposto Riccio, doveva servire per catturare il boss latitante. Era stato anche chiesto di inserire un dispositivo nella cinta di Ilardo; il blitz sarebbe scattato solo al segnale di Ilardo ovvero quando avrebbe avuto davanti il boss. Ma il generale Mori decise per il no, che quell'incontro doveva servire solo per prendere informazioni. 

Provenzano sarà catturato 11 anni dopo.

 Luigi Gino Ilardo aveva un programma ben preciso e ogni ulteriore rinvio alla prima possibilità di contatto con Provenzano (quella del 31 ottobre), lo avrebbe messo in difficoltà e soprattutto avrebbe messo a rischio la sua sicurezza. E infatti venne ammazzato la sera del 10 maggio mentre rientrava nella sua abitazione a Catania.

A sapere del suo segretissimo ruolo di informatore, erano Riccio, alcuni magistrati di Palermo e Caltanissetta e i Ros. Erano tutti presenti il 2 maggio del 1996 a Roma, giorno in cui Ilardo doveva "formalizzare" il suo ingresso tra i collaboratori di giustizia, previsto ufficialmente per il 14 maggio.

Le agende di Riccio del '94, così come quelle del generale Mario Mori del '94 e del '95 mettono in evidenza che il capo dei Ros era a conoscenza di tutta l'attività investigativa di Riccio. Lo scrive Riccio e lo conferma Mori. "Mori sapeva tutto quello che faceva Riccio" ha ribadito Di Matteo". Emblematica l'annotazione di Mori sull'agenda: "Problema Riccio – Sic, appuntamento con Gazel, Obinu- De Caprio. Era una riunione operativa su quello che era considerato un problema – continua Di Matteo – ovvero le indagini di Riccio in Sicilia".

"Io, signor presidente, già da questi elementi - ha detto Di Matteo -  comincio a percepire quella che poi si sarebbe rivelata una strategia. Creare confusione, con deposizioni diverse, nella pubblica accusa. Intorpidire le acque, creare difficoltà. Come le dichiarazioni di Mori dell'1 aprile del 2003 : " Io volevo intervenire - disse il generale dei Ros - Riccio diceva no, anche per salvaguardare Ilardo".

"Questa versione di Mori – dice Di Matteo – è contraddetta e non credibile. Possibile che in una struttura gerarchica come quella dei carabinieri,, e con tutto il lavoro di indagine pregresso dello stesso Riccio, che per altro era un aggregato ai Ros e un sottoposto, Mori abbia fatto un passo indietro perché glielo disse Riccio? Credo dunque signor presidente che ci sia stato una volontà di intorpidire un quadro . Di lineare in tutta questa storia, c'è stato solo l'operato dei difensori, dell'accusa e del tribunale" L'unico che poteva decidere era il comandante operativo. "Non è accettabile che Mori dica che Riccio non voleva prendere Provenzano".

Per l'accusa, Il 31 ottobre del '95 la volontà di prendere Provenzano era chiara come lo era il fatto che Mori fosse a conoscenza del luogo in cui si trovava Provenzano. La fonte Ilardo aveva trasmesso anche le coordinate geografiche del luogo in cui si trovava il boss. Il 16 novembre 1995 lo stesso Ricci, con Ilardo, fece un ulteriore sopralluogo, individuando "le due abitazioni usate dal latitante per effettuare gli incontri con i suoi affiliati" e "contestualmente trasmetteva le coordinate geografiche al superiore Comando" .

Nell'udienza del 17 dicembre 2008 a proposito del rapporto Grande Oriente, Riccio disse che l'intenzione di fare rapporto era solo sua e che gli venne chiesto di eliminare dal rapporto i nomi di chi aveva favoreggiato la latitanza di Provenzano. Richiesta fattagli dal capitano Damiano su indicazione, racconta lo stesso Damiani, di Mori e Obinu che lo avevano avvicinato chiedendogli di far togliere quei nomi.

Fu a quel punto che il capitano Riccio raccontò al dottor Marino e ancor prima alla dottoressa Teresa Principato quello che era accaduto.

Nell'udenza del 17 aprile del 2009, la Principato, che dopo il trasferimento del dottor Pignatone dioventò coordinatore delle indagini, disse che dopo la morte di Ilardo convocò subito Riccio: "Lui voleva intervenire – racconta la Principato – ma non gli dettero l'autorizzazione a farlo". Fatto riportato dalla Principato anche precedentemente, il 26/10/2007 quando affermò che fin dal periodo della stesura del rapporto Grande Oriente, Riccio le confidò che la decisione di non intervenire in occasione della riunione mafiosa del 31 ottobre del '95 era ascrivibile "ai suoi superiori".

La testimonianza resa dal pm Marino fu dello stesso tenore e si riferisce al periodo poco dopo successivo alla morte di Ilardo. Nell'Udienza del 16 settembre 2008, Marino racconta: "Ci incontrammo con Riccio 4 o 5, probabilmente era il mese di maggio, volte e mi confidò queste cose. Riccio non si fidava del maresciallo Tinebra e mi accennò anche del precipitare delle indagini di Genova che lo riguardavano. Riccio aveva fretta e voleva mettere a verbale quello che sapeva. Fui raggiunto a Catania (dove era in servizio ai tempi, ndr) dalla moglie di Riccio cui era stata consegnata dal marito dei documenti, proprio nel caso eventuale del suo arresto". I Ros cercavano le agende di Riccio, in cui erano descritte le attività di indagine. Le stesse erano state consegnate anche al procuratore antimafia nazionale, il magistrato Tinebra.

Il pm Di Matteo ha chiesto alla Corte di analizzare anche il momento di pressione psicologica in cui Riccio si trovava al momento della predisposizione del rapporto del 30 luglio del '96, in cui lo stesso Riccio scriveva:"lo scrivente faceva presente che con tutta probabilità sarebbe stato possibile solo un servizio di pedinamento e, su richiesta della fonte, per non pregiudicarne l'incolumità, il servizio di O.C.P. non sarebbe stato proseguito ad oltranza se si fosse riscontrata attività di contropedinamento". "Ilardo era già stato assassinato, era venuto meno qualunque prospettiva di un esito positivo, Riccio avvertiva di essere stato scaricato dai Ros. In lui signor presidente – dice Di Matteo – si accentua in quel momento una sensazione di impotenza stessa stesura del rapporto avviene sotto il pressante e incessante controllo del Ros. L'informativa doveva essere presentata dal Ros, sottoscritta da ufficiali del Ros (Col. Obinu, ndr) prima della consegna all'autorità giudiziaria".

A rafforzare la tesi dell'accusa ci sono anche le dichiarazioni dell'Ispettore della DIA di Catania Francesco Arena secondo cui il colonnello Riccio gli aveva prospettato la non volontà del Ros di prendere Provenzano e si lamentava di Subranni e di Mori. "Ci disse – racconterà Arena – che pensava di essere stato messo ai Ros per essere meglio controllato nelle sue azioni di indagine"

Il quel momento Riccio non trovò la forza per poter rappresentare i fatti per iscritto all'autorità giudiziaria e per questo si limitò a raccontarli verbalmente ai pm Principato e Marino e a raccontare la realtà degli avvenimenti sulla paternità della scelta.

Nella requisitoria Di Matteo ricorda anche l'ufficiale Nicolò Bozzo e le sue dichiarazioni. Bozzo e il Colonnello Riccio avevano lavorato con Dalla Chiesa in indagini sul terrorismo e Bozzo si era occupato anche di indagini sulla presenza della P2 nei vertici della polizia e dei carabinieri. Nell'Udienza del 4 novembre 2008 l'ufficiale dei carabinieri disse che Riccio era entusiasta della collaborazione di Ilardo e fu lo stesso Bozzo consigliare a Riccio di parlare con i magistrati che avrebbero potuto decidere chi avesse ragione, se lui o i suoi superiori.

"Le centinaia di interrogatori, le 70 udienze, decine di migliaia di pagine acquisite dimostrano un dato incontestabile - ha detto Di Matteo - le accuse mosse a Mario Mori e Mauro Obinu incrociano la piu' complessa storia dei rapporti tra lo Stato e la mafia negli anni Ottanta e Novanta, la storia di una politica vergognosamente insensibile, di una parte delle istituzioni che ha cercato e ottenuto il dialogo con l'organizzazione mafiosa, convincendosi che fosse utile ad arginare le azioni più violente e destabilizzanti della mafia".

La requisitoria ieri si è conclusa a quella che per Di Matteo è solo la prima fase di quanto avvenne. Il 5 aprile prossimo, si ripartirà dai fatti avvenuti dopo il 31 ottobre del 1995. Dalle ore serali di quel giorno, in cui tutto diventa ancora più importante e chiaro.

Si partirà probabilmente dall' "omessa predisposizione, in epoca successiva, nel medesimo luogo in cui ebbe luogo l'incontro del 31.10.1995 o nei luoghi adiacenti, di servizi ed attività tecniche potenzialmente idonee a conseguire l'arresto del latitante", passando per l' "Appunto pervenuto dal Comando Provinciale di Palermo" in possesso del R.O.S. "...un mese e mezzo dopo, due mesi dopo la casa di Mezzojuso, per cui loro già, subito dopo la morte di Ilardo e già molto prima della morte di Ilardo sapevano tutto"...

Di Matteo continuerà a ricostruire i fatti per dimostrare come la "ricerca-cattura di Provenzano" descritta dal colonnello Obinu come "l'obiettivo numero uno", in realtà non lo fosse. E come invece, importante fosse allontanare ed eliminare qualunque azione volta alla cattura di Provenzano.


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