Stupefacente la norma contenuta nella legge regionale sull'editoria che vieta ai giornali online la pubblicazione di commenti anonimi, pena la non ammissibilità a beneficiare di contributi pubblici.
Non si tratta di ignoranza dei deputati regionali sugli aspetti tecnici del web, non cadiamo nella trappola tesa ad arte per gli allocchi, finti e veri.
Loro sanno benissimo che chiunque si senta diffamato da un commento anonimo può tranquillamente tutelarsi in sede giudiziaria essendo agevole per gli organi di polizia risalire all'autore della presunta diffamazione o di diverso reato.
Il tema, più inquietante, è un altro.
Ci troviamo di fronte ad una vera e propria strategia del silenziatore per mettere il bavaglio a qualunque voce di dissenso nei confronti del potere costituito, un potere che ha i piedi d'argilla o, se vogliamo usare un'espressione più diretta, il carbone bagnato.
Un potere usato spesso dai potenti per custodire i propri privilegi, usato per scopi ben diversi da quelli per cui dovrebbe essere usato, cioè a beneficio dell'interesse pubblico. E il potere reagisce, adoperando ogni mezzo, finanche l'arma del ricatto camuffato da pie intenzioni.
Tanti, per i più svariati motivi, lo sappiamo perfettamente noi e i signori deputati, non solo preferiscono l'anonimato quando commentano un fatto, una notizia, ma devono, se non vogliono incorrere in rappresaglie di qualunque natura, scegliere l'anonimato.
Certo, ci sono gli esagitati, i nervosi, gli squilibrati, i maleducati, ma è il prezzo della democrazia, che bisogna assolutamente pagare in cambio di un bene irrinunciabile che si chiama libertà d'opinione, libertà anche sulla forma, per esempio anonima, con la quale si intende esercitare tale diritto costituzionalmente garantito.
Se poi chi scrive firmandosi con uno pseudonimo vìola la legge se la vedrà con la legge, ma è un'altra questione che non ha nulla a che vedere con l'ipocrita ragione data e sbandierata dai brillanti inquilini di Palazzo dei Normanni che hanno detto si all'approvazione di tutelare la reputazione delle persone. Adesso, però, alcuni fanno mea culpa.
Piuttosto, vorrei dire ai deputati dell'Assemblea Regionale Siciliana che la reputazione di molti politici è già parecchio messa in discussione non dai commenti anonimi che si scagliano contro le contraddizioni e le degenerazioni del Palazzo, ma dai loro comportamenti, gli stessi che hanno creato un solco sempre più incolmabile, in termini di sfiducia, tra i cittadini e le istituzioni, tra i cittadini e la politica. Quindi, tornino in aula i nostri prodi e cancellino questa norma-bavaglio che prima ancora di essere un obbrobrio sul piano dei diritti è semplicemente una sonora sciocchezza.
Pippo Russo