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Non una favola natalizia, ma un racconto vero...

 

Non una favola natalizia, di quelle che ti riscaldano il cuore, ma un racconto vero, di quelli che certamente ti commuovono ma, proprio perché veri, t'interrogano sui valori di sempre, spesso dimenticati. Mio padre, ormai ottantaduenne, è il penultimo di nove figli, quindi mio nonno paterno, Giuseppe, che ho avuto il privilegio di conoscere, avevo 12 anni quando morì, era un uomo dell'800. Aveva combattuto nella Grande Guerra, senza mai avere ucciso un nemico affermava con orgoglio, e molto care mi sono le sue memorie trasmesse oralmente. Lui era un povero falegname, di un piccolo paese della provincia di Palermo. Nove figli erano parecchi e immensa la fame. Spesso non riusciva a guadagnare quel tanto che gli consentisse di assicurare un pasto decente, a pranzo e a cena, per la sua numerosa famiglia. Però, sentenziava, grande era la sua fede nella Provvidenza divina e, alla fine, qualcosa sul piatto si riusciva a mettere ogni santo giorno. Fu una sera di oltre 70 anni fa, vicina a un Natale, che successe il fatto che mi rimase scolpito, attraverso le sue parole, nella mente e nell'animo. C'era molto freddo, tanta neve, da non potere aprire l'uscio di casa (poi mi dicono che nei decenni non vi sono stati mutamenti meteorologici, in quel paese la neve non c'è più in inverno) e a tavola, non una novità, non c'era granché. Solo della verdura, delle patate e una forma di pane grande appena sfornata da mia nonna. Undici persone a tavola solo con un po' di verdura, patate e del pane. Appena seduti si udirono dei colpi alla porta. "Chi può essere a quest'ora e con questo freddo?", chiese mia nonna impaurita, naturalmente in siciliano. Mio nonno, stanco di una giornata di lavoro, andò ad aprire. Era un povero compaesano, un artigiano pure lui, che cercava di vendere dei piccoli spiedi, mi pare di ricordare, o comunque dei piccoli manufatti. Aveva bisogno di venderne qualcuno per racimolare il quanto basta per mangiare lui e i suoi figli. Mio nonno lo guardò desolato, non poteva comprare nulla, non c'era un soldo in casa. Quell'uomo, senza insistere, se ne andò. Mio nonno tornò a tavola, e spiegò chi fosse e cosa volesse colui che aveva bussato; l'accaduto lo aveva rattristato e reso senza appetito. Passarono pochi minuti e di scatto, in silenzio, prese la forma rotonda del pane, la tagliò a metà, prese il mantello, uscì, inseguì il compaesano e gli diede il pane. Poi tornò e disse soltanto: "ciò che è rimasto basterà, quell'uomo è più bisognoso di noi perché stasera non ha nemmeno il poco che noi abbiamo". Gli era tornato il sorriso. Sì, mi disse che era contento perché dopo quel gesto si sentiva la coscienza a posto. Che grande insegnamento. Se tutti noi, i molto meno indigenti di quel povero falegname, in mezzo al terribile frastuono in cui siamo immersi, presi da mille cose, ogni tanto ci fermassimo, ascoltassimo di più la nostra coscienza e guardassimo a chi ha più bisogno, e stanno diventando una moltitudine, materialmente o spiritualmente, forse, senza forse, il mondo sarebbe migliore.

Pippo Russo