Fino a quando il nostro Paese non farà piena luce sulle pagine buie del suo periodo più recente avremo una democrazia debole, incompiuta, in balia di poteri occulti e criminali. In particolare, mi riferisco alle stragi di mafia del 92-93 e al patto sciagurato tra pezzi dello Stato, servizi segreti deviati, ambienti massonici e Cosa Nostra che pare, lo stabiliranno i giudici, stia dietro a quella tremenda stagione di sangue. Purtroppo non parliamo solo di episodi lontani e di fantasie da film. Avvenimenti inquietanti, maturati in contesti altrettanto inquietanti, appartengono all'attualità come se una maledizione eterna ci impedisse di liberarci, una volta per tutte, da trame, collusioni e connivenze perpetrate all'ombra di una architrave finora non completamente disvelata che ha visto uniti, in una continua azione antidemocratica di destabilizzazione, apparati infedeli, schegge massoniche, cupola mafiosa e frange terroristiche. La parte sana dello Stato non è riuscita, finora, a sviluppare i naturali anticorpi per guarire definitivamente da una malattia che periodicamente sembra riacutizzarsi. Da un paio d'anni si susseguono minacce di varia natura, mafiosa e non ma convergenti, nei confronti di magistrati di diverse Procure della Sicilia. Magistrati impegnati sul fronte di delicatissime indagini, con processi in corso, per tentare, finalmente, di scoprire i mille misteri della nostra storia repubblicana in cui pezzi delle istituzioni, settori deviati dei servizi e della massoneria, mafia e terrorismo golpista hanno dato vita, con atti sanguinosi, a un intreccio perverso forse non più inestricabile. Ecco perché adesso arrivano le minacce. Gravi avvertimenti che per la forme e i luoghi usati appaiono un'ulteriore beffa nei confronti dello Stato, lento nel mettere in piedi provvedimenti adeguati, non limitati al seppur indispensabile rafforzamento delle misure di sicurezza, che evitino il ritorno a giorni terribili nella loro mortale tragicità. Totò Riina emette le sue sentenze di condanna nei confronti del pm Nino Di Matteo, e di altri magistrati impegnati nel processo sulla trattativa Stato-mafia, sentenze incredibilmente pervenute all'esterno, da un carcere di massima sicurezza dello Stato, mentre il Procuratore Generale di Palermo Roberto Scarpinato trova una lettera intimidatoria dettagliata, sicuramente partorita da menti raffinatissime, le stesse evocate da Giovanni Falcone ed evidentemente rimaste al loro posto, sulla sua scrivania di lavoro, dentro il Palazzo di Giustizia. Com'è possibile che ancora accadano questi incredibili fatti? Insufficiente il rafforzamento delle misure di sicurezza, ripeto assolutamente necessario, se non cerchiamo al contempo con un serio lavoro di intelligence di ausilio ai magistrati di colpire a monte, prima che possano agire, gli autori dei tentativi di inquinare, impaurire, depistare, magari ricorrendo a nuove stragi, nascosti nelle stanze che contano. Inutili le dichiarazioni di solidarietà del mondo politico se poi non facciamo contemporaneamente uno sforzo comune, a cominciare da chi riveste importanti ruoli pubblici, per aiutare i magistrati, che rischiano quotidianamente la vita, a raggiungere la verità. Qui sta il punctum crucis della questione: andare all'origine del cancro, battere collusi e criminali sul tempo e favorire il raggiungimento della verità individuando volti, nomi, collegamenti. In tale modo colpiremo i responsabili, a qualsiasi livello, e impediremo altre stragi e le metastasi di un tumore maligno che, se non estirpato, distrugge inesorabilmente la credibilità delle istituzioni democratiche, e con essa la fiducia nello Stato dei cittadini onesti.
Pippo Russo