Vi è mai capitato di chiamare un call center di una compagnia italiana di cui siete cliente e sentire dall'altro capo del telefono una voce dall'accento straniero? Probabilmente qualcuno avrà pensato che si tratta di stranieri che lavorano in Italia. Nulla di tutto ciò, la vostra chiamata è stata inoltrata in un altro paese e chi vi risponde è seduto in un ufficio di un qualsiasi luogo del mondo con i vostri preziosi dati sensibili all'interno del suo terminale.
Nome, cognome, indirizzo, codice fiscale, ma anche carta di credito, rid, documenti d'identità allegati al contratto stipulato. Com'è stato possibile tutto ciò, vi chiederete? Semplice, è il fenomeno della delocalizzazione che sta pian piano portando il lavoro degli italiani all'estero. Albanesi, Tunisini, perfino brasiliani e indiani, giovano di soldi provenienti dall'Italia che spenderanno nei loro paesi. Stipendi non tassabili dallo Stato italiano che perde dunque in Pil ma anche in Irpef. Uno sperpero, ma anche probabilmente un abuso.
E' per questo che le Commissioni Finanze e Attività produttive della Camera hanno approvato, qualche giorno fa, un emendamento di Stefano Saglia (Pdl) e Ludovico Vico (Pd) al Dl sviluppo che introduce nuove regole sull’attività dei Call center a tutela sia dell’occupazione – con uno stop alla delocalizzazione ‘selvaggia’ – che dei dati personali.
La norma riconosce innanzitutto il diritto di essere informati sul luogo fisico in cui saranno gestiti i dati personali - consentendo ai cittadini-clienti di opporre un rifiuto al trattamento di dati in paesi diversi dall’Italia – e sancisce per la prima volta il principio che le aziende che decidono di delocalizzare le attività verso paesi esteri non potranno godere di benefici fiscali e contributivi da parte del nostro Paese.
Non era d'accordo il viceministro del Welfare, Michel Martone, ma l'emendamento è stato approvato ugualmente.
Le aziende che delocalizzano le attività – chiarisce l'emendamento approvato - non potranno ricevere incentivi all'occupazione e, comunque, dovranno darne comunicazione almeno 120 giorni prima al Ministero del lavoro, indicando i lavoratori coinvolti e all'Autorità garante della privacy, informando sulle misure adottate per la tutela dei dati personali.
Il mancato rispetto di queste norme è punito con una sanzione di 10 mila euro per ogni giornata di violazione.
Un primo passo verso una regolamentazione che sta mettendo in serio rischio i lavoratori dei call center. In Sicilia sono 10.000 che fanno questo lavoro. Solo Almaviva contact, colosso italiano dell'outsourcing, dà occupazione a più di 5800 siciliani. Adesso l'emendamento passerà alle camere per convertirlo in legge.
L'augurio è che ciò avvenga in tempi brevi, a garanzia del mercato italiano, in un settore dove ci sono più 30.000 addetti, a garanzia dei consumatori, ma soprattutto dei posti di lavoro nazionali.