di Marta Genova - Doveva essere conferito a Sergio De Caprio, ai più conosciuto come il Capitano Ultimo, il premio speciale Falcone Borsellino di quest'anno, ma, come si legge in un comunicato stampa dell'organizzazione "Per motivi di sicurezza personale ha preferito declinare e pertanto gli verrà conferito in un luogo di sua scelta da definirsi".
E così, il prossimo 15 novembre, il premio per l'impegno nella lotta alla mafia, in memoria dei due giudici ammazzati nel '92, promosso dall'istituto Giuridico di Ricerca Comparata di Pontremoli e dal Libero Istituto Universitario "Carlo Cattaneo" di Castellanza, sarà consegnato alla criminologa Roberta Bruzzone per "la corposa attività scientifica e divulgativa nelle scienze criminologiche, quale imprescindibile ausilio alle attività di indagine".
Va ricordato che a Palermo e Caltanissetta sono in corso importanti processi, ovvero quello sulla trattativa tra Stato e mafia (Pa) e il Borsellino quater (Cl). E a Palermo si è da poco concluso il processo a carico dell'ex generale di Ros Mario Mori e del Colonnello Mauro Obinu, accusati dai pm di Palermo della mancata cattura di Provenzano nel'95. Lo scorso luglio sono stati assolti dalla IV sezione penale del Tribunale, perché "il fatto non costituisce reato". (I Pm di Palermo presenteranno ricorso in appello contro la decisione della Corte, ndr).
Mori era già stato imputato in altro processo a Palermo nel 2006, quello sulla mancata perquisizione del covo di Riina a seguito dell'arresto avvenuto l 15 gennaio del 1993. Al banco degli imputati con lui il Capitano Ultimo che mise materialmente le manette al boss di Corleone. Vennero rinviati a giudizio per il ritardo con cui venne perquisito il covo.
Secondo i pm di Palermo (allora a capo dell'indagine c'era Antonio Ingroia) infatti i carabinieri della territoriale erano pronti, subito dopo l'arresto, ad entrare nell'edificio di via Bernini, ma i Ros e il capitano Ultimo bloccarono l'operazione, chiedendone la sospensione per "motivi investigativi", ovvero affinichè "si aprisse la possibilità di svolgere ulteriori indagini" evitando in quel momento la perquisizione.
Il covo venne perquisito 18 giorni dopo e in quei giorni fu ripulito e vennero persino ritinteggiate le pareti.
Come si legge nella sentenza del 20 febbraio 2006, "La condotta contestata agli imputati si sarebbe difatti realizzata, prima, attraverso un atteggiamento commissivo consistito nella fraudolenta assicurazione all'Autorità Giudiziaria, il 15.1.93. della prosecuzione del servizio di osservazione su via Bernini che invece i medesimi sapevano non. sarebbe stato proseguito, poi in un comportamento omissivo costituito dalla omessa reiterazione del servizio il giorno 16.1.93 e tutti i giorni successivi sino alla riunione del 30.1.93 con l'Autorità Giudiziaria, nell'ambito dei quale va altresì inquadrata la condotta di omessa comunicazione dell'avvenuta sospensione del servizio.
....Con riferimento alla condotta omissiva, la qualità dì organi di polizia giudiziaria degli imputati li rendeva certamente titolari della posizione di garanzia relativa al buon funzionamento dell'attività giudiziaria e di polizia giudiziaria e dunque, sia accedendo all'una che all'altra delle prospettazioni giuridiche sopra esposte, appare perfettamente ipotizzabile a loro carico una responsabilità penale per favoreggiamento mediante omissione...".
Ma sempre secondo la Corte non c'è quel dolo che avrebbe determinato il favoreggiamento alla mafia .
Ma è chiaro e ripetuto più volte che l'asportazione (dal covo, ndr) di eventuale materiale di interesse investigativo, poteva essere evitata solo con l'immediata perquisizione. Si legge infatti che " Il sito, come già detto, fu abbandonato e nessuna comunicazione ne venne data agli inquirenti. Questo elemento, tuttavia, se certamente idoneo all'insorgere di una responsabilità disciplinare, perché riferibile ad una erronea valutazione dei propri spazi di intervento, appare equivoco ai fini dell'affermazione di una penale responsabilità degli imputati per il reato contestato". E ancora "...Pertanto, l'intuizione del ROS di non svelare il dato di conoscenza relativo alla via ed agli imprenditori, che fu alla base della scelta di rinviare la perquisizione, fu esatta se riferita alle future proiezioni investigative, ma del tutto errata nel presente di quella decisione, in quanto, proprio perché li credeva sconosciuti alle forze dell'ordine, l'organizzazione mafiosa se ne servi nell'immediato per ripulire l'abitazione...."
E la conclusione "... Ne deriva che, non essendo stata provata la causale del delitto, né come "ragione di Stato" né come volontà di agevolare specifici soggetti, diversi dall'organizzazione criminale nella sua globalità, l'ipotesi accusatoria è rimasta indimostrata, arrestandosi al livello di mera possibilità logica non verificata.
La mancanza di una prova positiva sul dolo di favoreggiamento non può essere supplita dall'argomentazione per la quale gli imputati, particolarmente qualificati per esperienza ed abilità investigative, non potevano non rappresentarsi che l'abbandono del sito avrebbe lasciato gli uomini di "cosa nostra" liberi di penetrare nel cd. covo ed asportare qualsiasi cosa di interesse investigativo e dunque l'hanno voluto nella consapevolezza di agevolare "cosa nostra".
Sul versante del momento volitivo del dolo, una simile opzione rischierebbe di configurare un "dolus in re ipsa", ricavato dal solo momento rappresentativo e dalla stessa personalità degli imputati, dotati di particolare perizia e sapienza nella conduzione delle investigazioni.
...Ma, quanto al momento rappresentativo, già è stato precisato che il servizio di osservazione non sarebbe valso ad impedire l'asportazione di eventuale materiale di interesse investigativo, che poteva essere evitata solo con l'immediata perquisizione, quanto alle abilità soggettive degli imputati, esse non possono valere a ritenere provata una volontà rispetto all'evento significativo del reato che e invece rimasta invalidata dall'esame delle possibili spiegazioni alternative.
Ne deriva che il quadro indiziario, composto da elementi già di per sé non univoci e discordanti, è rimasto nella valutazione complessiva di tutte le risultanze acquisite al dibattimento e tenuto conto anche della impossibilita di accertare la causale della descritta condotta, incoerente a non raccordabile con la narrazione storica della vicenda come ipotizzata dall'accusa e per quanto è stato possibile ricostruire in dibattimento.
In conclusione, gli elementi che sono stati acquisiti non consentono ed anzi escludono ogni logica possibilità di collegare quei contatti intrapresi dal col. Mori con l'arresto del Riina ovvero di affermare che la condotta tenuta dagli imputati nel periodo successivo all'arresto sia stata determinata dalla precisa volontà di creare le condizioni di fatto affinché fosse eliminata ogni prova potenzialmente dannosa per l'associazione mafiosa."
I giudici del tribunale hanno assolto i due imputati "perché il fatto non costituisce reato".
Lo scorso 24 ottobre intanto il capitano Ultimo, in un'intrevista rilasciata a Panorama ha dichiarato "L'antimafia? Un business. La trattativa Stato-mafia? Una pagliacciata. Delegittimare lo Stato? Un'azione criminale. Chi rompe il fronte della lotta alla criminalità organizzata fa soltanto il gioco dei boss".
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