Il grado di affiliazione con un'associazione complessa come la mafia può a volte essere determinante. Ne sa qualcosa l'uomo considerato uno dei "postini" dei pizzini di Provenzano, l'ex membro del Pci bagherese Simone Castello, accusato in due inchieste diverse di essere associato alla mafia. Nella prima, l'accusa viene confermata, nella seconda, con il giudizio arrivato al suo secondo grado, viene prosciolto.
Nel processo Grande Oriente le prove raccolte dagli inquirenti non lasciano dubbi e Simone Castello viene condannato nel 2002 ma una condanna successiva, per il processo Crash rimette in discussione tutto. La questione è molto delicata, in quanto se la Corte d'Appello giudica Simone Castello non colpevole, nascono i presupposti per rimettere in discussione anche la posizione di "associato" a Cosa Nostra, come definito nella prima sentenza.
La tesi degli avvocati Nino Caleca e Raffaele Bonsignore apre una breccia importantissima. Cosa Nostra non è un circolo del tennis, chi aderisce non può sicuramente uscirne di propria volontà, salvo pentimenti o...cause di forza maggiore. Ecco quindi la nuova posizione, anomala considerata per il caso Castello. Postino associato.
In tempi di riforma dei contratti di lavoro, si scopre la figura dell'associato di mafia: l’associato, di fatto, di regola non ha un analogo vincolo, tendenzialmente senza fine, con la consorteria. Il vecchio legame con le famiglie rappresenta cioè un punto di partenza significativo, ma non ha la stessa valenza indiziante.
Un discorso al limite della sfumatura, dato che ad inchiodare alle sue responsabilità Castello sembra esserci il pentito Stefano Lo Verso che ha precisato come dopo il trasferimento dell'ex affiliato nel Pci, Castello effettivamente non volesse avere più niente a che fare con le questioni mafiose.
Una dichiarazione chiara che continua ad inserire l'intera vicenda nel discorso, molto più complesso ed ampio, aperto dalla sentenza dell'Utri sul reato di concorso esterno in associazione mafiosa.