È ora che una generazione intera si risvegli. Quella stessa che da troppo tempo silente, combatte ogni giorno non più per il futuro, ma per riuscire a gestire il presente, cosa già ardua a volte perfino eroica. Una generazione che però non è disgregata, scomparsa ma che nel proprio profondo è riuscita a tenersi unita. Ma cosa è che ci ha tenuto veramente uniti o meglio, cosa è riuscito a farlo fino ad oggi? Ce lo siamo mai domandati veramente?
È stata la rassegnazione e la paura, il gestire ciò che si ha perdendo la propensione alla crescita e al futuro.
Elementi che da troppo tempo hanno agito come unico collante contro la deflagrazione sociale, sottraendoci ai sogni, alle ideologie e al futuro. E se per questo forse gli dobbiamo anche, in qualche modo, riconoscenza, ora dobbiamo dirgli addio. Abbandonare la sua compagnia, per iniziare a credere in noi stessi al contributo che ognuno di noi può lasciare, dando spazio alla voglia di costruire e guardare oltre un orizzonte ormai troppo vicino. Ora bisogna lasciare spazio al coraggio.
Non possiamo accettare che la rassegnazione sia rimasta l'unica vera risorsa della nostra generazione. Certo è pur vero che da troppo tempo proprio la rassegnazione sembra l'unico programma concreto che l'attuale classe dirigente ha interesse a propinarci, così da poterci lasciare latenti sull'orlo di un abisso. Ostaggi della loro certezza che, tanto alla fine, nessuno è disposto a lanciarsi nel vuoto... e che "u tinto conosciuto è meglio du tinto a conoscere".
Una classe "dirigente" che si genera e pascola sulle emergenze che inesorabilmente condizionano la vita delle persone. Mi chiedo come la gente possa continuare a tollerare tutto questo: il degrado spacciato come civiltà, l'esercizio del veto come peso del potere, il potere di non far riuscire invece di quello capace di generare opportunità. Provvedimenti arbitrari e ignobilmente incongrui sbandierati come regole, tutto ciò che andrebbe fatto e che non viene fatto spacciato come sogno prospettico e non come legittimo diritto quotidiano.
È della mia generazione, quella dei quarantenni, di cui sto parlando e che doveva essere la prima ad opporsi a questo andazzo. In realtà siamo stati troppo disponibile, vacui, incerti e indecisi, e perciò sopratutto inconsapevolmente complici.
C'è una parola che ho sempre tenuto a monito nella mia vita, che per me è sempre stata una parola chiave. Passione. Una parola che non sento più pronunciare dalle persone, e che è ormai latente anche in me stesso, perché anche io spaventato da un "nemico" che ci fa credere di essere invincibile. Quel nemico è la paura la perdita della speranza. Quello stesso nemico che ormai ci sussurra che l'unica cosa che ci resta da fare è contare sulla buona forte, perché ci ha levato voce, rendendo le nostre parole confuse e incerte, destinandoci a restare indietro. Senza comprendere e da nessuno compresi. Dobbiamo assumerci la responsabilità di assicurarci che da ora in poi non sarà più cosi, perché ora la nostra voce dovrà essere consistente e ascoltata, non laconica fuori dal coro ma coro essa stessa. Perché nessuno di noi dovrà mai dire ai propri figli che i loro tempi potrebbero essere oscuri perché noi abbiamo taciuto.
Nell'esercizio dialettico della critica democratica, non voglio dire che coloro che ci hanno preceduti sono stati artefici dello stato di latenza di noi che dovremmo avere le redini del futuro ben salde nelle mani, sarebbe troppo facile, ma certamente posso dire che non hanno avuto la forza e la passione per cambiare le cose. In ogni caso il mio auspicio e che da oggi avranno molti meno complici e che ognuno di noi riprenda consapevolezza ruolo e dignità generazionale, convinto di poter lasciare una traccia reale e non solo di poter resistere agli eventi incerti che ci circondano.
Noi siamo il futuro che disegneremo.