Il 9 dicembre scorso a Messina doveva essere emessa la sentenza nel giudizio abbreviato del processo scaturito dall'operazione antimafia "Gotha 3" (mafia barcellonese). La sentenza, tuttavia, non c'è stata. Non, però, per inerzia del Giudice o di altri, ma solo per il disservizio provocato (incolpevolmente?) dal carcere de L'Aquila, dove si trova detenuto l'imputato principale del processo, il capo di Cosa Nostra barcellonese Rosario Pio Cattafi. Il Gup, Monica Marino, infatti, terminati gli interventi di tutte le parti, stava per ritirarsi in camera di consiglio quando, l'imputato Rosario Pio Cattafi, detenuto al 41 bis e quindi collegato in videoconferenza dal carcere de L'Aquila (carcere di massima sicurezza dove, curiosamente, sono detenuti quasi tutti i boss di Barcellona Pozzo di Gotto per i quali è stato deciso il carcere duro), ha chiesto al Giudice se avesse ricevuto da quel penitenziario una memoria difensiva da lui depositata presso l'ufficio matricola del carcere lo scorso giovedì.La difesa dell'imputato Cattafi aveva, già a inizio dell'udienza, tentato di far slittare la sentenza, per motivi dichiarati infondati dal giudice, che aveva pertanto chiesto ai pubblici ministeri e alle parti civili se avessero necessità di replicare agli interventi delle difese. Alla risposta negativa, erano tutti pronti per la sentenza. Tutti, naturalmente, tranne Cattafi, che evidentemente sapeva pure che la sua memoria non era giunta al giudice e acquisita al fascicolo. Disposto l'accertamento, la dr.ssa Marino ha avuto risposte da lasciare interdetti: nonostante si trattasse di un processo con imputati sottoposti a misura cautelare e nonostante si sapesse già che per l'udienza di ieri era in programma la sentenza, dal carcere de L'Aquila avevano pensato bene di spedire la memoria per posta e approfittare del "fermo biologico" del fine settimana che avrebbe con assoluta certezza impedito la tempestiva ricezione al giudice.Così, è stato tutto rinviato al 18 dicembre. Ma nel verbale d'udienza il giudice ha rampognato pesantemente la struttura penitenziaria de L'Aquila, per la grave omissione dell'uso di mezzi di trasmissione meno antiquati delle poste.Disfunzioni (a pensar bene) del Dap, dunque, hanno impedito l'emissione della sentenza relativa al più pericoloso dei mafiosi barcellonesi.
Già, il Dap. Il processo palermitano sulla trattativa Stato-mafia ha consentito ai cittadini di comprendere quali deviazioni possano ammorbare quel delicatissimo organismo. E chi conosce bene gli atti di quel processo sa bene anche come proprio Cattafi coi vertici del Dap è stato capace nel passato di intessere diretti rapporti che a nessun altro mafioso d'Italia (nemmeno Riina e Provenzano) erano consentiti. Per intenderci, nella maledetta estate del 1993, proprio nel clou di quella criminale trattativa, il "capo dei capi" di Cosa Nostra barcellonese trascorreva lussuosissime vacanze con l'allora capo dell'ufficio detenuti del Dap. Sì, proprio l'ufficio che sovrintendeva e sovrintende al 41 bis.
E non si dimentichi un altro dettaglio della storia di Cosa Nostra: quando, nell'aprile 2006, venne finalmente catturato, dopo quarant'anni di latitanza, Bernardo Provenzano, intervennero pressioni di ogni tipo, ivi comprese false notizie divulgate sulla stampa, per procurare al boss corleonese il trasferimento proprio al carcere de L'Aquila.
Qualunque sia la ragione che ha impedito la sentenza a carico di Cattafi, è certo che non si può rimanere inerti davanti a questi scempi che oltraggiano l'autorevolezza delle istituzioni dello Stato. Auspicherei, quindi, che il ministro Cancellieri, viste anche le polemiche che l'hanno investito negli ultimi tempi in relazione al caso Ligresti, facesse chiarezza sulla strana concentrazione di capimafia barcellonesi in quel carcere e, comunque, si interessasse a far spostare il boss Cattafi in un penitenziario nel quale gli sia impedito di godere di vantaggi indebiti, volontari o meno che siano, come quello indecente ottenuto ieri.
Sonia Alfano
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