Dopo una condanna a 10 anni e 8 mesi in primo grado, e un lungo periodo di detenzione carceraria e di arresti domiciliari, l'ex deputato regionale di Forza Italia, assolto dalla corte d’appello di Palermo, dall'accusa di mafia, torno’ un uomo libero. Fatto che suscitò non poche polemiche, sia nell'ambiente politico in cui si urlò al solito complotto sia e in quello giudiziario che lo riteneva inchiodato dalle prove rispetto alle accuse mossegli. Il gip che lo mandò in carcere, accogliendo in pieno le tesi della Procura, lo definì infatti tanto vicino al capomafia Bernardo Provenzano da far parte di ”una Cosa sua”, più che di Cosa Nostra. Un’espressione forte che doveva rendere l’idea dello stretto legame che univa il padrino di Corleone a Giovanni Mercadante. In più lo stesso Mercadante risulta parente dello storico boss di Prizzi Tommaso Cannella, l’ex parlamentare era accusato di essere stato medico di fiducia delle cosche e punto di riferimento dei boss nel mondo della politica. Indagato già in passato, la sua posizione venne archiviata per due volte. Poi, nel 2006, la svolta nell’inchiesta.
Oggi il caso torna alla ribalta, la sua sorte è di nuovo in bilico: la Cassazione ha annullato l’assoluzione e ordinato la celebrazione di un nuovo processo d’appello.
A carico dell’ex deputato, le accuse sono pesanti. Oltre a quelle dei pentiti, si aggiunsero le intercettazioni ambientali effettuate nel box del capomafia Nino Rotolo, luogo scelto dai clan per i loro summit. Nei colloqui, registrati per oltre un anno, il nome di Mercadante emerse chiaramente più volte. Per l’accusa, l’ex parlamentare azzurro sarebbe stato ”pienamente inserito nel sodalizio criminoso”. Una conclusione riscontrata anche dalle testimonianze di collaboratori di giustizia: da Nino Giuffre’ ad Angelo Siino e Giovanni Brusca. Giuffre’ ad esempio racconta di essersi rivolto al medico, su indicazione dello stesso Provenzano, per fare eseguire alcuni esami clinici al latitante agrigentino Ignazio Ribisi. Prove non sufficienti, secondo i giudici di appello. Ma i dubbi della corte palermitana, evidentemente, non hanno convinto la Cassazione che ha confermato, invece, le condanne dei tre coimputati Nino Cina’, l’uomo dei misteri della trattativa tra Stato e mafia, che ha avuto 16 anni; Bernardo Provenzano, che in questo processo era accusato di tentata estorsione ed e’ stato condannato a 6 anni, e Paolo Buscemi, commerciante che dovrà scontare 6 mesi per favoreggiamento.