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Agenzia di Stampa Italpress

Da non crederci, finalmente qualcuno che parla seriamente di lavoro e di scuola

 

Per carità, lo sappiamo bene, i politici bisogna sempre giudicarli dopo che alle parole fanno seguire i fatti. Devo, però, ammettere che il Matteo Renzi di ieri sera a "Che tempo che fa" mi ha piacevolmente sorpreso, quasi mi ha lasciato di stucco. Finalmente un leader di partito, il più grande partito del centrosinistra, che non s'incarta nelle vicende berlusconiane o negli sterili dibattiti sui posizionamenti tattici, ma che si mette a discettare di lavoro, con una proposta concreta, il "Piano lavoro", dei tagli della politica e, udite udite, di scuola. Ha parlato, per la verità, anche d'altro, di legge elettorale, di un servizio civile europeo obbligatorio e della Bossi-Fini. Il nuovo segretario del Partito Democratico ha mostrato di avere capito che le primarie che lo hanno incoronato sono l'ultima occasione che i cittadini hanno voluto dare alla politica nel suo insieme. Possedere tale consapevolezza è già parecchio. Sui tagli alla politica se ne discute troppo da tempo e non si fa nulla. Non c'è partito che, figurativamente, non si riempia la bocca di questa parola, tagli, nel senso di uno snellimento dell'apparato, via le province, diminuzione dei parlamentari, eliminazione del bicameralismo perfetto, e nel senso di abbattimento dei privilegi della cosiddetta casta che, per intenderci, sono ancora sostanzialmente in piedi. Ci riferiamo alle ricche indennità di deputati e senatori, consiglieri regionali, in Sicilia deputati regionali, ai benefit di cui godono, pensioni, buonuscite, auto blu. Renzi ha promesso che tali riforme si faranno, che i tagli non saranno più solo una vuota declamazione. Ma è sul lavoro che Renzi imprime al dibattito, abbastanza ingessato, un'accelerazione sorprendente. Il "Piano lavoro", che lui presenterà a gennaio, vuole liberarsi dello scontro ideologico sull'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, come se un articolo, seppure importante, possa creare il lavoro che non c'è, immaginando semplificazione, maggiore flessibilità in uscita e maggiori garanzie e per tutti. Dinanzi al 12,7% di disoccupazione, con punte del 40% per quella giovanile e femminile, Renzi dice ' basta con la giungla dei contratti, si alla flessibilità, no all'eterno e mortificante precariato. Pensare non solo a chi oggi può godere della Cig, appena un lavoratore su tre, e poi, a fronte di una flessibilità in uscita, lo Stato assicuri per i primi due anni di disoccupazione il mantenimento della famiglia di chi ha perso il lavoro e un sistema serio di formazione professionale'. Rivoluzionario nella sua semplicità, senza ipocrisie ideologiche. Potrebbe essere l'inizio di un percorso da portare anche in Europa cominciando ad affermare un principio finora disatteso, che alla globalizzazione dei mercati occorre affiancare la globalizzazione dei diritti e progetti che puntano alla crescita incidendo sul mercato del lavoro e sul cuneo fiscale, soprattutto quando si assumono giovani (per esempio cancellando per i primi tre anni i contributi a carico del datore di lavoro che assume). Confesso, infine, la mia meraviglia quando ho sentito Matteo Renzi affermare il concetto sulla centralità della Scuola, cosa scontata nelle democrazie più evolute e mature della nostra, e della funzione strategica della scuola media, irresponsabilmente sottovalutata, non certamente dai docenti sempre più marginalizzati, non solo dal punto di vista economico. La Scuola italiana, negli ultimi vent'anni vittima di rimaneggiamenti che si sono susseguiti creando solo confusione, legislativa e didattica, ha bisogno di un processo d'innovazione profondo che possa durare, nel suo impianto generale, per i prossimi anni. Si apre, pure qui, un confronto vero e, finalmente, serio.

Pippo Russo