L’attesa a Palermo per l’apertura dell’ennesimo centro commerciale finalmente è finita, culminata nella solita e folle ressa per accedere nel nuovo “paradiso terrestre”. Un’attesa resa ancora più febbrile in quanto parliamo del centro commerciale voluto da Maurizio Zamparini, il Presidente del Palermo Calcio che ha riportato la squadra siciliana in serie A tra i grandi club italiani. Si chiama “Conca d’Oro” quasi a richiamare l’immagine di una Palermo che praticamente non esiste più. Un paradosso visto che proprio la cementificazione selvaggia ha distrutto il grande giardino arabo-normanno. Questa è solo una delle tante illusioni generate dai “giganti di cemento” che si ergono in città.
L’illusione dello sviluppo economico. Pensavamo che con l’arrivo dei centri commerciali l’economia della città sarebbe ripartita con l’aumento dei posti di lavoro. Non serve una laurea alla Bocconi per sapere che l’aumento a dismisura dell’offerta di beni di consumo (prodotti fuori la Sicilia), in un territorio già economicamente depresso, non genera ricchezza. Dopo l’iniziale ondata di nuove assunzioni siamo passati ad una impressionante, quanto ovvia, chiusura di numerosi negozi della città che non hanno retto la concorrenza dei centri commerciali.
L’illusione che Palermo sia una città moderna. L’occupazione non è aumentata, però ci sentiamo una città “importante”. Anche noi abbiamo i centri commerciali che vedevamo solo nei nostri viaggi in giro per l’Italia e nel mondo. Ormai il livello di civiltà di una città si misura sul grado di “inciviltà”. Ci sentiamo più moderni perché con i centri commerciali avremo i negozi sempre aperti. Così i dipendenti potranno “liberamente” lavorare con gli stessi ritmi disumani dei continentali. I commercianti dovranno adattarsi alle regole della grande distribuzione altrimenti per loro ci sarà la chiusura. E se lavoratori e commercianti dovranno anche lavorare la domenica, senza poter stare con le proprie famiglie, ci sentiremo pienamente inseriti nel “migliore dei mondi possibili” che il sistema consumistico ci ha donato.
L’illusione di essere liberi. Crediamo che lo sconforto generato dai mille problemi della nostra disgraziata Palermo possa essere superato dalla presenza dei centri commerciali. Saremo liberi di comprare quando vogliamo e cosa vogliamo. A tutte le ore del giorno e della settimana, a qualsiasi prezzo e con la possibilità di comprare tutto (compreso quello che non possiamo permetterci) grazie alla carta di credito o alle provvidenziali rate mensili. In realtà siamo soltanto ancora più schiavi del desiderio irrefrenabile di possedere, generato ad arte dal sistema imperante. Heather Hopfl afferma che “la creazione di manufatti da sogno, di oggetti del desiderio, di personalità, di stili di vita, modalità d’interazione, modi di agire, modi di costruire identità e via dicendo, diventa una fatica immane mascherata come una sempre più ampia possibilità di scelta. La scelta è una sconcertante illusione”. Ci sentiamo liberi ma siamo soltanto diventati “uomini di superficie”, descritti dallo psichiatra Vittorino Andreoli nel suo ultimo libro, cioè uomini e donne “senza profondità” che improntano la loro vita unicamente sul culto della esteriorità e del possesso di beni materiali.
L’illusione di allontanare l’insicurezza. Il grande sociologo Zygmunt Bauman sostiene che i consumatori da un lato vanno alla ricerca spasmodica di sensazioni piacevoli che trovano negli oggetti in vendita, dall’altro scappano da qualcosa. Secondo lo studioso polacco fuggono dall’agonia dell’insicurezza attraverso lo shopping compulsivo/assuefattivo: “A tutti i problemi che incontriamo sul nostro cammino, noi cerchiamo la soluzione nei negozi. Dalla culla alla bara, siamo stati istruiti e addestrati a considerare i negozi come farmacie traboccanti di medicamenti per curare o almeno alleviare ogni malattia e afflizione della nostra vita individuale e collettiva. I negozi e lo shopping acquisiscono pertanto una vera e piena dimensione escatologica”.
Ad ogni apertura di un nuovo centro commerciale scoppia la ressa per mettere le mani sul televisore o sul pc a prezzo stracciato. Una concitata e disordinata massa che si accalca presso le nuovi “cattedrali del consumo” descritte da George Ritzer. Una vera e propria, quando desolante, “processione” per acquistare l’oggetto del desiderio che darà un senso alla nostra esistenza. I centri commerciali sono anche le tipiche “cattedrali nel deserto”. La nuova struttura di Zamparini darà l’illusione che il fatiscente quartiere Zen sia pronto alla rinascita. Invece, proprio perché posizionato in quella zona, potrebbe creare malessere e scontro sociale; una buona parte degli abitanti dello Zen, infatti, non potrà comprare molti dei prodotti in vendita nel centro commerciale. Sempre Bauman afferma che nel sistema consumistico l’esclusione sociale è percepita come esclusione dal consumo. La rabbia e l’umiliazione per non potere avere gli oggetti del desiderio scatena l'impulso di distruggere tutto ciò che non si può ottenere. È quanto successo a Londra questa estate, non una rivolta animata da ideali politici o da rivendicazioni sociali ma dall’impossibilità di comprare: “Per i consumatori imperfetti, cioè per i meno abbienti – afferma Bauman – non poter comprare diventa uno stigma stridente e doloroso in una vita che manca di pienezza e di felicità. In ultima analisi, assenza di umanità e di ogni altro motivo di rispetto di sé stessi e di rispetto degli altri”.
Ritrovare noi stessi. Palermo sarà una città “moderna” solo quando ritroverà la sua identità profonda e saprà coniugarla con la voglia di guardare al futuro. La grandezza di una città e di una comunità sta non tanto nello scimmiottamento di altri modelli di sviluppo, che oltre a non essere giusti difficilmente possono essere impiantati ovunque, quanto nell’immaginare un’idea di crescita che si sposi con le peculiarità del nostro territorio e della sua storia.
In questi giorni potremo salire sul Monte Pellegrino e guardare Palermo dall’alto. Vedremo da un lato la moltitudine di auto che si ammasseranno nei pressi del nuovo centro commerciale, dall’altro scorgeremo quel poco che rimane della vera Conca d’Oro. Quella traccia indelebile di una città che non voleva imitare nessuno, bensì aveva l’ambizione, poi realizzata, di diventare la capitale del Mediterraneo.
Mauro Lamantia