Caro Gigi, dove siamo finiti, in cosa ci hanno cacciato spingendoci sulle nostre gambe, dove sono finiti quei tempi in cui la nostra generazione felice, venti anni fa, bruciava la vita lasciandone un segno certo, quotidianamente definendone i contorni più scuri ma vivi, pieni di notti e luce propria. Dove si sono nascosti i strascichi di stile perpetuo e perpetuato in ogni movenza, senza mai essere snobismo ma semplice distanza. Felici, si. Quanto inconsapevoli del disastro che il futuro ci avrebbe riservato, non certo un disastro personale, a quello abbiamo preferito la devastazione interiore, ma il disastro di una generazione. Quella generazione che avvolta in una illusione narcolettica non ha avuto e non avrà nessuna possibilità di lasciare una traccia di se, ora che l'adolescenza protratta ha lasciato il posto alla maturità. Ma quale maturità hanno i tempi in cui viviamo? Almeno le nostre illusioni erano vere e noi stessi ne pagavamo il prezzo del non voler rinunciare a rappresentarle. Si è vero, c'è stato un tempo in cui noi dettavamo i ritmi e le pause, quel tempo che scorreva denso, in cui, ogni santo giorno si seppelliva il precedente così da poterlo commemorare per sempre. Del resto per noi la malinconia era l'unica arma per non avere paura del futuro. Tempi in cui l'essere primo non aveva alcun orgoglio perché la vera gara era restarne fuori, applaudire dagli spalti con le nostre giacche di sartoria e sempre con un bicchiere di whisky in mano, non certo on the rocks, ma sempre con un cubetto d'anima dentro. Oggi il passo è ceduto, inesorabile ci ha sorpassato, mentre noi caro Gigi, rallentavamo per commemorarci con tutti gli onori. Si superati da tutti coloro che non hanno mai capito il valore degli spalti e hanno invece creduto nella gara. Ma una gara strana, priva, in cui vince non chi arriva per primo ma chi impedisce all'altro di arrivare. Un tipo di competizione che non ci è mai appartenuta, la nostra generazione, certo porta il vizio di aver trovato in quegli anni la facoltà di viziarsi, ma che è sempre stata corretta con se stessa, perfino auto-cinista, definiva e rispettava le regole che si era data.
Venti anni fa era tutto diverso, questi anni non sono frutto di quel ventennio che ci è volato tra le dita e i capelli, noi non siamo i costruttori del nostro presente, non ci è stato permesso o non ne siamo stati capaci, poco importa in realtà ... siamo rimasti gli unici a comprendere l'importanza dell'armonia; di quella stessa che non ti farebbe mai mettere una giacca non intonata a tutto ciò che ti circonda.
Con l'affetto di sempre Ugo.
Nella Foto Biagio Brucculeri il Gigi dell'articolo