Impiantato all'Ismett di Palermo, per la prima volta in Italia, il dispositivo "Endobarrier", che produce gli stessi effetti dell'intervento chirurgico di bypass intestinale e rappresenta la nuova procedura per combattere obesità e diabete di tipo 2.
La procedura è stata eseguita per via endoscopica all'Istituto mediterraneo trapianti e terapie ad alta specializzazione da Mario Traina e Anna Casu, responsabili delle unità di Gastroenterologia e Diabetologia su una donna siciliana di 42 anni.
"Endobarrier" è stato sperimentato con successo nei migliori centri medici europei, ma non era ancora disponibile in nessun ospedale italiano. Ismett ha avviato l'uso del dispositivo in via sperimentale, grazie ad uno studio clinico finanziato dall'University of Pittsburgh Medical Center, il partner americano dell'Istituto.
La tecnica e meno invasiva e il può lasciare l'ospedale entro 48 ore. Inoltre la procedura è reversibile perchè il dispositivo può essere sempre rimosso ed è meno costosa rispetto alla chirurgia tradizionale contro l'obesità.
Consiste nell'introdurre l'"Endobarrier" nel lume duodenale del paziente per ridurre l'assorbimento di cibo e probabilmente modificare la produzione di insulina. Si tratta di un tubo impermeabile e flessibile fissato al bulbo duodenale con un'ancora rimovibile. I medici fanno scivolare una sorta di "guscio protettivo" attraverso la bocca del paziente tramite endoscopio e il dispositivo, una volta inserito nel duodeno, crea una barriera tra il cibo e la mucosa intestinale. Pu restare in sede fino a 12 mesi, poi viene rimosso. I pazienti saranno costantemente seguiti con visite di controllo trimestrali da un'equipe multi-disciplinare formata da diabetologo, nutrizionista, gastroenterologo, psicologo clinico e cardiologo.
I risultati preliminari degli studi avviati presso altri Paesi europei sono incoraggianti e dimostrano una perdita superiore al 40% dell'eccesso di peso, e soprattutto la remissione clinica del diabete di tipo 2 con un netto miglioramento delle condizioni cliniche dei pazienti sottoposti a questo tipo di trattamento. Anna Casu sottolinea che il dispositivo "apre anche una serie di opportunità di ricerca biomedica per la comprensione dei meccanismi alla base del diabete di tipo 2 che potranno in futuro facilitare lo sviluppo di procedure meno invasive o nuove terapie farmacologiche".