Si è concluso ieri, dopo una lunga camera di Consiglio al carcere di Pagliarelli, il processo per l'omicidio di Antonella Alfano, la donna di 34 anni che il 5 febbraio 2011, fu trovata morta all'interno della sua auto, in una scarpata della via Papa Luciani, alla periferia di Agrigento. Il compagno, l'ex carabiniere Salvatore Rotolo, 41 anni, prima soffocò la donna e madre della loro bambina, poi fece sparire il corpo, simulando l'incidente stradale e l'incendio.
Rotolo aveva chiesto di essere giudicato col rito abbreviato. 18 anni erano stati chiesti in primo grado il 7 giugno del 2012, dal Gup di Agrigento Valeria D'Andria e lo scorso mese il Pg Ettore Costanzo aveva chiesto la conferma di quella condanna. Ieri la Corte d'Assise di Palermo presieduta da Giancarlo Trizzino , ha convalidato la pena.
L'innocenza invocata dall'ex carabiniere, assistito dagli avvocati Gioacchino Genchi e Sergio Monaco, in primo grado fu sconfessata dalle testimonianze di chi quel primo pomeriggio di 2 anni fa, lo vide sul luogo del delitto e dagli esiti delle perizie, che non lasciarono dubbi sul fatto che Antonella non morì per un incidente. Sia il modo in cui le fiamme avvolserò l'auto e le condizioni in cui fu trovato il cadavere oltre alla posizione del corpo, incompatibile con l'altezza della donna e quindi con la guida, confermarono che era stata tutta una messa in scena.
E' stata confermata la provvisionale a titolo di risarcimento di 1 milione e 250 mila euro che andranno ai familiari diretti e alla figlia. Alla piccola di 2 anni, rimane un risarcimento di 500 mila euro.
Siamo costretti a ribadire e con forza, che la legge va riformata, che il rito abbreviato e una pena di 18 anni non sono ammissibili in casi come questo.
Vogliamo concludere con la tragica descrizione riportata sulle motivazioni della sentenza di primo grado; terribile, forse al limite di quello che ci è concesso fare. Dunque, se impressionabili, non andate oltre nella lettura. Ma lo riteniamo necessario proprio per quello che abbiamo appena scritto, su una riforma che va fatta, subito. Una riforma che potrà ridare dignità e senso, alla parola Giustizia.
"L'autovettura era a circa 18 metri dal punto più vicino del ciglio stradale e si presentava completamente distrutta dalle fiamme, a ridosso di un albero che recava segni dell'impatto con l'autovettura. Il cadavere completamente carbonizzato giaceva disteso bocconi con il capo e il torace appoggiato in parte sul telaio del sedile anteriore lato guida e in parte sul cambio; si presentava privo degli avambracci destro e sinistro e dei piedi. ...) all'interno della cavità toraco-addominale e precisamente nel retrobocca, senza alcun segno di impronta dentaria, era posizionata una castagna che chiudeva l'aditus laringeo. La mancanza di fuliggine nelle vie respiratorie e di carbossiemoglobina nel sangue non era, dunque, segno sicuro del decesso della vittima in una fase antecedente all'incendio (...)Altra osservazione rilevante era, poi, relativa ai piedi della vittima – entrambi staccati dal resto del corpo e carbonizzati – in ordine ai quali si constatava la presenza di residui di leggings e di parti di scarpa con tomaia di gomma che emanavano un forte odore di idrocarburi. Si faceva, dunque, concreto il dubbio del carattere simulato dell'incidente nonché di una combustione derivante da un incendio doloso e non dall'impatto contro l'albero."
M.Ge.
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