Che la Sicilia sia un malato gravissimo, in fase addirittura terminale, lo sapevamo già e lo abbiamo denunciato più volte a fronte del silenzio della politica cui non conviene tirare fuori la verità sulla drammatica realtà che stiamo vivendo. Leggere, però, certi numeri fa ugualmente spavento. Mi riferisco ai dati crudi e nudi, messi nero su bianco, contenuti nel 40° Report Sicilia curato e redatto dalla Fondazione Curella di Palermo. Non solo, a commento dei dati occorre leggere le dichiarazioni, riportate dalla stampa, del presidente della Fondazione prof. Pietro Busetta (nella foto). Parole non tanto velate che denunciano l'urgenza di un nuovo patto per la Sicilia senza il quale non rimane che il commissariamento. Prima o poi, purtroppo, ci si doveva arrivare al redde rationem, efficace espressione latina che vuol dire "rendiconto", per capirci, prima o poi ci si doveva arrivare alla resa dei conti. Nel 2013 sono stati persi complessivamente 67.000 posti di lavoro, la disoccupazione in Sicilia toccherà il 22% (una percentuale da brivido). Ormai possiamo parlare di disoccupazione giovanile nell'Isola del 50% perché un giovane su due non trova lavoro. Sono ben 350.000 le persone in cerca di lavoro, in costante aumento rispetto al 2011 (+ 110.000) e al 2007 (+130.000). Il Pil chiude con un -3,2% (-2% rispetto al 2012). Questo non è un normale report, è un bollettino di guerra. Mentre nel resto del Paese per il 2014 s'intravede uno stop all'andamento recessivo (si ha recessione quando la variazione del Pil rispetto all'anno precedente è negativa, con livelli di produttività bassi, aumento della disoccupazione, diminuzione del tasso di interesse per riduzione della richiesta di credito e rallentamento dell'inflazione dovuta allo schiacciamento della domanda interna), non se ne parla in Sicilia che dovrà attendere molto prima di godere di qualche boccata d'ossigeno in termini di ripresa (domanda+produzione). Bastano solo le percentuali sopra riportate per farsi assalire dallo scoramento che può diventare disperazione nel momento in cui Pietro Busetta, senza girarci intorno, dice chiaramente che la politica non sembra proprio che si occupi dell'economia reale chiusa com'è nei suoi palazzi, lui li chiama l'Olimpo, ben imbottita di privilegi e benefit di svariata natura. Nel rapporto si afferma che nessun settore dell'economia si salva, malissimo industria e servizi, forse un po' il turismo che, comunque, non sta messo tanto bene. Aggiungo l'attività della criminalità organizzata, della mafia, del racket, del pizzo, della corruzione, che comporta devastanti effetti sulla già sofferente economia legale. Una classe politica responsabile dovrebbe chiedere scusa per tale impietosa rappresentazione, perché se è vero che ci sono congiunture economiche negative esterne e universali è altrettanto vero che da noi la cattiva politica ha fatto il resto, trascinandoci nel baratro.
Pippo Russo