Informare dovrebbe significare riportare fedelmente un fatto, raccontarlo senza enfasi o celate deduzioni soggettive. Chi lavora con l'informazione dovrebbe garantire al lettore l'imparzialità del resoconto, la minuziosa cronaca dell'accaduto e la comprensibilità dello stile. In questo caso la semplicità terminologica diventa un dovere, poiché ciò che scrive un giornalista deve sempre essere accessibile e comprensibile a tutti, senza che diventi un resoconto per pochi eletti.
Il declassamento che ha subìto l'Italia sulla libertà d'informazione dovrebbe far riflettere. Un giornalismo sempre più esclusivo, legato ed imbavagliato, strumentalizzato e manipolato dalla politica non è degno di essere definito tale, poichè tradisce tutte le regole deontologiche della professione ed il fine ultimo della stessa. Un giornalismo tale diventa peggiore dell'abiezione politica, che a sua volte tradisce il popolo.
Mai come in questo momento storico, l'Italia non garantisce un'informazione coerente e pluralista, che non sia dettata da linee editoriali filo politiche, volte ad interessi terzi.
A questo punto, pensiamo che l'Ordine professionale, in quanto istituzione, abbia perso la propria ragione d'essere solo per il fatto di non riuscire a fungere da garante e tutore dell'informazione stessa.
Un pubblico di lettori sempre più conscio della scarsa qualità informativa, diventa il giudice più spietato, il censore più inflessibile ed il primo critico delle numerose lacune presentate dal sistema della professione giornalistica. I lettori non credono più nell'informazione, esattamente come non credono più nella politica ed in chi la rappresenta.
Questo declassamento del'informazione ci sprofonda e ci equipara a Paesi dai regimi dittatoriali. Un affronto che dobbiamo accettare in silenzio, un silenzio pesante che deve farci riflettere sulla nostra decadenza culturale e politica che sta minando la libertà dalle fondamenta.