Si fa tanto parlare della fine della seconda repubblica, la prima craxiana la seconda berlusconiana, la terza non c'è ancora dato di sapere. Che sia Grilliana? Il timore però è quello che più repubbliche si fanno più si perde il senso della parola stessa. Repubblica per l'appunto.
Il dato interessante, leggendo la storia politica italiana, è che per ogni repubblica che “si fa” vi è sempre un quasi totale azzeramento della precedente con tanto di ghigliottina, oggi mediatica più che patibolare, ma non per questo meno tagliente e decapitante. Il ricambio politico in Italia sembra non poter mai avvenire per naturale evoluzione e crescita della classe dirigente ma solo con il sistematico azzeramento della stessa. La sensazione che emerge è quella di un feudo difeso fino all'estremo ma che, attacco oggi, assedio domani, alla fine crolla e viene raso al suolo.
C'è da chiedersi se questo dipenda dal fatto che si commettono sempre gli stessi errori, non riuscendo a uscire da uno schema prestabilito e condizionante in tutto e per tutto. Il ricambio nelle democrazie moderne e reali dovrebbe trovare naturale sfogo nelle così dette opposizioni. L'opposizione è il cardine del dibattito democratico, ha funzione di responsabilità e controllo sull'operato di chi governa, ma è proprio qui che casca l'asino. Nel nostro paese si è progressivamente passati dall'opposizione ideologica ( tanto per capirci la DC cattolica e conservatrice opposta al PCI, il partito dei lavoratori e del proletariato) ad un opposizione di nomi e di nemici e comunque sempre meno di programmi e idee ( per continuare a capirci Berlusconi e Di Pietro)
Questo genera che, chi ad un partito da il proprio nome, proprio per meglio incarnare la battaglia ad personam, quando gli viene tolto l'antagonista crolla anch'esso. Perchè dietro le battaglie personali non vi possono essere contenuti e programmazione, ma solo contrapposizioni dialettiche e comportamentali. Questo accade oggi in Italia. Emblematico è il caso di IDV su cui, per l'appunto, all'interno del simbolo vi è proprio il cognome del fondatore o meglio dire del proprietario. Di Pietro.
Lo stesso Antonio Di Pietro oggi sotto assedio come tutti gli altri. Colui che nell'ultimo decennio ha incarnato l'anti berlusconismo e che sconfitto il nemico si accinge al declino egli stesso. Ecco il dramma di un opposizione piegata su se stessa e concentrata solo sull'assedio al all'avversario, priva sia di un'alternativa reale di progetto che ideologica, anche perchè, vale la pena ricordarlo che nel caso specifico la legalità non è un ideologia. C'è da chiedersi, chi nella normalità filologica di un ragionamento non si poteva aspettare che gli elettori, che alla fine hanno abbandonato il feudo di Berlusconi, non riconoscessero al suo più acerrimo nemico il senso della vittoria? E invece così non è stato, il partito di Di Pietro oggi è anch'esso al collasso e al declino, dove in Sicilia appena due giorni fa, riesce a mala pena a superare il 3,5%, travolto oggi, al pari degli stessi combattuti per anni, dalla gogna mediatica di ipotetici illeciti nella gestione dei fondi pubblici ai partiti.
Ecco che emerge sempre un nodo centrale di cui nessuno però parla approfonditamente, il finanziamento pubblico ai partiti e come questi si trovino in un regime di “proprietà” rispetto al proprio fondatore o segretario che sia. La vera “fetta” è li e non nello specchietto per le allodole dell'abbattimento dei “costi della politica”. Decine e decine di milioni di euro entrano nelle casse delle segreterie nazionali, in Sicilia il rimborso è di un euro a voto, che poi a sentir le sezioni locali dichiarano di non ricevere mai un euro per la propria sussistenza. Ma allora c'è da stupirsi se si scopre che i più grandi immobiliaristi del paese sono proprio i partiti politici?
Chi non ha peccato scagli la prima Di Pietro....
Ugo Piazza