Uno spietato j'accuse nei confronti della classe politica isolana quello della presidente della Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti per la Regione Siciliana Luciana Savagnone e già dimenticato. Eppure sono trascorsi pochi giorni. Sono stati usati termini diretti, inclementi, come corruzione, malaffare, logiche clientelari, smania di ricchezze e di potere. Riemerge in tutta la sua drammaticità la questione morale che affligge la Sicilia non da ora, da decenni. Con tutto il rispetto per la Corte dei Conti e per la presidente Savagnone, da apprezzare, la malapolitica e il proliferare di politicanti nella nostra martoriata terra non è notizia di oggi. Eravamo nei primi anni novanta, ricordati soprattutto per le terribili stragi di Capaci e via d'Amelio, e in tanti chiedevamo lo scioglimento dell'Assemblea Regionale Siciliana per l'incredibile numero dei suoi componenti indagati o condannati per i più svariati reati. In molti abbiamo condotto una lotta quotidiana contro il malaffare, la corruzione e le contiguità di esponenti politici con la mafia, quando ancora il movimento di Beppe Grillo non era nemmeno nella mente del buon Dio. Nulla sembra essere mutato e l'impegno profuso, anche a rischio dell'incolumità personale, non ha determinato, lo riconosco, il cambiamento che speravamo. Anzi, dopo quelle battaglie e il sangue innocente versato per mano mafiosa, ci ritroviamo con due presidenti della Regione indagati e condannati, uno in via definitiva, per reati di mafia. Domanda, abbiamo fallito? Qualcuno ha reagito alle accuse della Savagnone chiedendo nomi e cognomi. Se consideriamo la questione morale solo in termini penali, ha ragione. Ma l'esame del profilo etico delle nostre istituzioni e dei palazzi della politica va ben oltre il codice penale. Si estende verso la subcultura di cui è impregnata la politica siciliana che seppure, in diversi casi, non incrocia necessariamente la commissione di un reato si caratterizza, comunque, per un modo barbaro di intendere e praticare la politica stessa, noncurante dell'interesse collettivo pur di ricevere in cambio consenso finalizzato al mantenimento di posizioni e privilegi. Il risultato è sotto gli occhi di chiunque: sottosviluppo, disoccupazione, assenza di speranza. E' un errore pensare che la colpa del baratro in cui siamo stati trascinati sia stata e sia solo di certa politica. In Sicilia s'è consolidato, nel tempo, un blocco di potere, una vera zona grigia, lo chiamavamo ventre molle, composto da politici, intellettuali, economisti, poliziotti, imprenditori, giornalisti, sindacalisti, uomini di Chiesa e delle Università, delle istituzioni, della magistratura che, nella migliore delle ipotesi, hanno sempre voltato la faccia quando s'è trattato di assumere posizioni nette e coraggiose, preferendo il galleggiamento, il quieto vivere, il soddisfacimento dell'interesse particolare. Nella peggiore delle ipotesi hanno siglato patti scellerati, non è un caso il processo sulla trattativa Stato-mafia in corso di celebrazione con tanto di minacce di morte nei confronti dei coraggiosi magistrati che hanno indagato in proposito. Altro che Statuto speciale come strumento di sviluppo economico e di affermazione identitaria, al contrario, siamo nati autonomi già con il vizio dell'annacamento o, peggio, con il cancro della mafia che ha utilizzato l'autonomia, complici elementi compiacenti della società siciliana, per i propri scopi incoffessabili. Hanno rappresentato, siffatti soggetti, il rovescio abietto di una medaglia che ha visto, nel suo lato esemplare e luminoso, negli stessi ambiti, eroi normali massacrati dalla mafia, spesso strumento armato di altre entità. Non mi pare che in atto s'intravedano segnali per una radicale inversione di tendenza. Non bastano le denunce, non pagano nemmeno le auto assoluzioni comprensibili. E' ovvio che quando si fa di tutta un'erba un fascio si fa un favore ai corrotti e ai collusi, è altrettanto ovvio che vi sono stati e vi sono politici siciliani onesti. Non è, però, sufficiente non rubare e non incontrare mafiosi, occorre la politica alta che abbia una visione avanzata, che ponga in essere un'azione corale di emancipazione definitiva da quel tipo di politica fustigata dalla presidente Savagnone, che privilegi un modello di crescita della Sicilia finalmente affrancato dalle logiche delle contrapposizioni esasperate per convenienze di bottega, dell'assistenzialismo, del clientelismo, dell'accaparramento del potere per il potere senza guardare ai bisogni della gente. Sapendo, a proposito della gente, che i primi responsabili della condizione in cui versiamo siamo noi cittadini che nel segreto della cabina elettorale abbiamo votato il peggio del peggio, alla faccia dell'etica e del bene comune, sperando di risolvere qualche problema personale senza capire, io credo di si, che così avremmo condannato la Sicilia a essere una terra di sudditi e non di cittadini, un'isola degradata nonostante le sue incommensurabili meraviglie. Ne dovremo rispondere ai nostri figli.
Pippo Russo