Da tempo sosteniamo che la Sicilia si trova in una gravissima condizione senza precedenti, ben più drammatica di quanto appare. Famiglie ed imprese sono allo stremo, i giovani non hanno prospettiva alcuna se non di scappare e nulla lascia presagire un'inversione di tendenza. La colpa non è soltanto della crisi che investe l'intero Paese, ma degli effetti di una cattiva politica che nel tempo ha sperperato, senza ritegno, risorse e opportunità e massacrato sia il nostro patrimonio culturale che quello naturalistico; entrambi avrebbero potuto garantire benessere per il presente e per il futuro e metterci al riparo da negative congiunture economiche. Il governo di Rosario Crocetta aveva acceso alcune speranze e non soltanto sul binario della legalità, tema fondamentale in Sicilia dove forti sono ancora mafia, pizzo e racket, e dove, come altrove, bisogna fare i conti con corruzione e clientele foraggiate con denaro pubblico, ma anche sul binario dello sviluppo, della crescita, della semplificazione amministrativa, della qualificazione della macchina burocratica regionale, di una coerente spesa dei fondi comunitari per dotare la Sicilia delle infrastrutture che non ha. Leggendo alcune dure dichiarazioni di esponenti politici e sindacali, in occasione della mancata riforma delle province e della discussione in atto sui documenti contabili, bilancio e finanziaria, s'intuisce che qualcosa non quadra. Per Maurizio Bernava, segretario generale Cisl-Sicilia "la Sicilia è sul punto di un reale fallimento economico, sociale ed amministrativo. Il governo regionale non ha strategia". Per Michele Pagliaro, segretario generale Cgil-Sicilia "il governo è impotente e intanto la Sicilia affonda". Il M5S boccia senza appello la finanziaria definendola 'la peggiore possibile' e, addirittura, c'è chi dice, come Roberto Di Mauro, capogruppo del Pds-Mpa all'Ars, che il bilancio 2014 è falso perché nasconde un buco di 500 milioni di euro. Di certo c'è che sono previsti ulteriori tagli ai trasferimenti ai comuni che, insieme alle riduzioni del governo nazionale, costringeranno i comuni ad elevare le imposizioni locali e ad erogare, in ogni caso, sempre meno servizi e scadenti per giunta. Obiettivamente nell'azione del governo regionale, che tra l'altro non ha più una maggioranza organica e stabile, s'intravedono, a tratti, approssimazione e mancanza di una visione d'insieme; ma la questione vera è a monte, e non da ora: la Regione da decenni ha tradito la sua vocazione originaria, quella di essere ente programmatore, per ridursi ad un'agenzia di spesa con finanziamenti e contributi, a pioggia, che nulla hanno a che vedere con un organico piano di sviluppo e molto con basse ed improduttive politiche clientelari che mantengono Sicilia e siciliani, spesso complici nella cabina elettorale di questo andazzo, in un'eterno stato di bisogno. E' da tale consapevolezza che bisogna ripartire. Occorre rifondare la Regione e valorizzare gli enti locali, comuni, liberi consorzi e aree metropolitane (appena faranno l'annunciata riforma delle province), altro che tagli ai trasferimenti. Devono essere gli enti locali a spendere per i servizi, sociali, commerciali, culturali, sportivi, mentre la Regione deve provvedere a programmare (nel campo del turismo, dell'energia, delle politiche giovanili, dell'alta formazione, della sanità, delle medie e piccole imprese) e alle grandi infrastrutture. Sorge spontanea una domanda: la classe politica che abbiamo ha la carte in regola, è adeguata per una rivoluzione del genere?
Pippo Russo