Con un voto quasi unanime dell'Assemblea provinciale del Partito Democratico, solo tre contrari su 180 votanti, che ha approvato il documento politico conclusivo, sembra definitivamente chiusa ogni possibilità di dialogo tra il Pd e il sindaco di Palermo Leoluca Orlando. Non è una notizia di poco conto. Tutt'altro, tanto più che non è emerso, sul tema, nemmeno un minimo contrasto tra i partecipanti all'assise pieddina, a provarlo gli impietosi numeri sopra riportati. Non solo, basta leggere il comunicato stampa finale, con le dichiarazioni del segretario provinciale Carmelo Miceli, per constatare la durezza dei toni usati che non lasciano spiragli di sorta, una durezza a tratti forse eccessiva. Anzi, in un passaggio si parla, ad appena due anni dalle elezioni comunali, di "stagione finita", bocciando senza appello qualunque ipotesi di ingresso di uomini o donne del Pd nella giunta di Palazzo delle Aquile. Più chiari di così, non si poteva. La vicenda ha un suo rilievo non perché legata ai giochi tra i gruppi consiliari all'interno del Consiglio comunale. Lì, lo sappiamo, la maggioranza che sostiene l'Amministrazione è ormai piuttosto fluttuante, poco decifrabile per un comune cittadino, assolutamente dis-armonica in molti episodi che hanno visto il soccorso delle opposizioni di centrodestra, opposizioni che mostrano di muoversi perfettamente a loro agio tra le incertezze di quella che fu la maggioranza schiacciante uscita dalle urne e i buoni rapporti ostentati con il sindaco. No, il rilievo della vicenda che stiamo trattando è legato a valutazioni di carattere politico. Se ci fosse stato qualche dubbio sui difficili rapporti tra Orlando, con il suo movimento Mov139, e il premier Matteo Renzi ora non c'è più. Un rapporto apparso subito complicato, fatto più di reciproche diffidenze che di intese e convergenze. Diffidenze verso Orlando che con molta probabilità, visto il voto bulgaro all'Assemblea provinciale palermitana dove è rappresentato il variegato universo pieddino, non riguardano solo l'area renziana ma il partito nel suo complesso. Evidentemente Orlando ha adottato una tattica che non riesce ad apparire sufficientemente tranquillizzante. Nello stesso tempo il sindaco della Primavera nicchia su un suo ingresso, armi e bagagli, nel Pd. Ma è davvero la sua intenzione? Forse troppo semplicistico. Di contro, stavolta il Pd, nel chiudergli le porte in faccia, ha lasciato da parte il politichese e ha utilizzato un linguaggio netto e inequivocabile. Il punto è che Orlando ogni giorno che passa appare politicamente claudicante e con una forza contrattuale che sembra indebolirsi. Ciò, sia perché non ha avviato, finora almeno, alcun ragionamento esplicito con le altre forze del centrosinistra, sia perché i palermitani, pur considerando i sondaggi a lui più favorevoli, non si esprimono molto positivamente su come è governata e amministrata la loro città. Io ritengo, ho già manifestato il mio convincimento in proposito in altre occasioni, che il sindaco Orlando abbia tutte le carte in regola e che bene hanno fatto gli elettori a tributargli un largo consenso, ma che occorre davvero dialogare con tutti, soprattutto con chi, a cominciare dal Pd che ci auguriamo disponibile, è possibile costruire un grande progetto politico coerente e cambiare quel che nella squadra di governo e nella macchina burocratica comunale non funziona. Subito, però, il tempo sta scadendo. Inoltre, bisogna coinvolgere la città, chiamare ognuno alla corresponsabilità e alla partecipazione attiva per la rinascita di Palermo. Nessuno può farcela da solo, e con strumenti poco adeguati, viste le drammatiche condizioni economiche e sociali in cui ritroviamo.
Pippo Russo