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Parla il figlio del boss di Corleone: ''Sono orgoglioso di chiamarmi Riina''

"Non mi riconosco in alcun partito politico e quindi non voto, ma credo nello Stato italiano. Posso non condividere alcune delle leggi, ma l'importante è che le rispetto". Il discorso non farebbe una piega se a dirlo non fosse il terzogenito del 'Capo dei Capi' di Cosa Nostra Giuseppe Salvatore Riina, condannato a 8 anni e 10 mesi di reclusione per associazione mafiosa.

Secondo i magistrati 'Salvuccio' era il protagonista della riorganizzazione della cosca facente capo al padre, gestita come una vera e propria impresa. La sua pena Riina l'ha già scontata e a fine anno, quando scadrà il periodo di sorveglianza speciale, potrà dirsi libero a tutti gli effetti.

In una lunga intervista rilasciata al Corriere del Veneto, Riina racconta la sua esperienza a Padova, città dove ha scelto di trasferirsi un anno fa: "Voglio ricostruirmi una vita - ha spiegato - se non fosse stato questo il mio scopo me ne sarei rimasto al mio paese. Ma in Sicilia non ci sono opportunità. Di lavoro, intendo. E poi lì non è facile per la mia famiglia: non lasciano mai tranquillo un Riina".

Non che al Nord lo aspettassero a braccia aperte. La Lega contestò fortemente il suo arrivo tra i colli euganei, anche se Riina precisa che i padovani lo hanno "accolto bene", trattandolo "sempre con cordialità e rispetto: quando uno mi conosce capisce che non sono pericoloso. Io sono una persona onesta, sempre". A chi gli fa notare che onestà e detenzione sembrano concetti contrastanti, Riina risponde che colpevole o innocente poco importa, quel che conta è aver "scontato la galera fino all'ultimo". Così si comporta un uomo d'onore. Proprio come il padre, che di fronte alla possibilità di collaborare con la giustizia "ha deciso di percorrere la sua strada fino alla fine, dal primo giorno fino alla morte, senza facili vie di scampo".

No, secondo il figlio Totò Riina non sarà mai un pentito, a costo di finire i suoi giorni dietro a quelle sbarre: il morbo di Parkinson e i problemi al cuore lo stanno logorando, "sappiamo benissimo che non uscirà mai vivo dal carcere e dal 41 bis, eppure si sta facendo il carcere con dignità". Alle istituzioni rivolge un'unica critica, "uno Stato democratico dovrebbe prendersi cura dei propri detenuti. L'Italia non lo fa".

L'Italia. Questo angolo di terra violentato dalle mafie, la novella Gomorra... "Saviano chi?", ironizza Riina, "No, non ho mai letto il suo libro, certi libri non mi interessano". Il film l'ha visto, ma solo perché quella sera in tv "non davano nulla di meglio", sia chiaro. "Secondo me racconta ciò che fa comodo raccontare, e la realtà che descrive non è quella vera. Magari Saviano è a conoscenza di fatti che ignoro, ma a molti di quei fatti io non credo".

A Padova Giuseppe Salvatore Riina collabora con l'associazione "Famiglie contro l'emarginazione e la droga", dove si occupa della segreteria e di assistenza alle famiglie indigenti. Non può uscire prima delle 7, non può rientrare dopo le 20. Niente patente e obbligo di restare entro i confini comunali: "Sono solo balle" dunque gli avvistamenti a feste o a bordo di sfavillanti Maserati, e se ha abbandonato l'università è solo a causa del lavoro. Anche se, ammette, al pezzo di carta non ci teneva più di tanto. L'unico motivo per cui ha traslocato in Veneto è diventare finalmente uno come tutti gli altri: "Non ho mai avvertito il mio cognome come un peso - dice Riina - anche se a volte, quando mi sento tutti gli occhi puntati addosso, mi chiedo se potrò mai avere una vita normale... Ma voglio che sia chiaro: per me è un orgoglio chiamarmi Riina. È un cognome che mi è stato dato da due genitori capaci di insegnarmi tante cose: i valori, la morale. Io sono onorato di essere figlio di Totò Riina e Antonietta Bagarella".

(Tgcom24)

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