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E Totò Riina dal carcere torna a minacciare i pm. Lui, il boss che non parla ma che ''comunica''

 

Riina in carcereLa storia è sempre la stessa. Lui al 41 bis, non collabora, non ha mai collaborato, non si è mai pentito.
Lui, chiamato il capo dei capi, omertoso di nascita, che per comunicare e far arrivare le sue minacce si "affida" alle orecchie degli agenti del Dap, gli agenti di polizia penitenziaria che, come ovvio che sia, poi non possono che fare rapporto su ciò di cui sono venuti a conoscenza.

Una vicenda dai contorni per nulla chiari.

Ed è così che la scorsa settimana – come scrive oggi La Repubblica – dopo l'ultima udienza sulla trattativa Stato mafia, il boss di Corleone, rinchiuso all' Opera di Milano, si sarebbe sfogato con un compagno di carcere e la sua conversazione ascoltata dagli agenti: "Di Matteo deve morire. E con lui tutti i pm della trattativa, mi stanno facendo impazzire" avrebbe detto. Minacce rivolte dunque anche agli altri pm dell'accusa, i sostituti Francesco del Bene, Roberto Tartaglia e l'aggiunto Vittorio Teresi.

Il motivo di tanta rabbia pare siano state le dichiarazioni del pentito Francesco Onorato, che avrebbero piccato Riina. Piccato si, infastidito, perchè il suo ex collaboratore lo ha fatto apparire come un pupazzo nelle mani dello Stato, usato e poi abbandonato (LEGGI IL RESOCONTO DELL'UDIENZA). E lui, la sindrome da "parafulmine" l'ha sempre avuta.

Il leitmotif è sempre lo stesso. Più o meno aggiunge qualche parola, ma è sempre lo stesso.

Lunedì scorso intanto a Palermo, si è riunito il comitato per l'ordine e la sicurezza presieduto dal prefetto Francesca Cannizzo. Si sta valutando il trasferimento del Pm Di Matteo e della sua famiglia, in località segreta per qualche tempo. Il giudice, la scorsa estate, a seguito di lettere di minacce anonime, ha avuto alzato il livello della scorta, dal secondo al primo. Adesso il comitato provinciale ha deciso di chiedere un impegno ulteriore al ministero dell'Interno e dunque l'assegnazione allla scorta del dispositivo "Jammer", che nonostante i ripetuti allarmi, ancora non viene dato. Si tratta di un dispositivo antibomba che intercetta nel raggio di 200 metri i segnali radio dei telecomandi, bloccandoli.

Tra le mire di Riina, sempre secondo quanto si è appreso, potrebbe esserci anche il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, che a Caltanissetta, ha curato la revisione del processo per la strage di via D'Amelio, scagionando otto persone.
Ma le minacce potrebbero essere rivolte anche ai pm di Caltanissetta, Nico Gozzo e Stefano Luciani, che attualmente si stanno occupando proprio del processo Borsellino quater.

Quello che esce fuori da tutto questo è che le comunicazioni, comunque sia, arrivano.
Ai primi di ottobre sulla stampa è apparsa la notizia che Riina, nonostante il 41bis, manterrebbe sempre le fila di Cosa Nostra (notizia cui è seguita la perquisizione delle abitazioni dei colleghi che l'hanno riportata da parte dei carabinieri del nucleo investigativo di Catania, ndr).

Nei mesi scorsi poi, da lettere di minacce anonime giunte in Procura a Palermo, è emerso che uno dei più grossi latitanti, Messina Denaro avrebbe chiesto a Riina , al 41 bis, l'autorizzazione per un attentato nei confronti del giudice Di Matteo. Avallo comunicato al boss di Castelvetrano, attraverso uno dei figli di Riina che ricordiamo essere, uno all'ergastolo e l'altro a Padova, in regime di sorveglianza speciale. Il tutto necessarimanete con l'ausilio di detenuti "d'onore" che, com' è sempre stato, hanno fatto da ambasciatori, veicolando richieste e risposte. E tutto questo dunque, denota come la sicurezza all'interno del sistema carcerario, sia debole.

"Fosse l'ultima cosa che faccio, devono morire" ha anche detto Totò 'u curtu che tra qualche giorno festeggerà, nella sua cella milanese, 83 anni. 

Cominciasse intanto a dire quali sono le cose che sa, posto che per lui c'è chi ha già abbondantemente parlato.

Riina, che dà un colpo a Palermo e uno a Caltanissetta, che con le sue minacce a profusione scatena il panico ma che è un panico inversamente proporzionale al coraggio e alla solidarietà che scatena nella società civile e che riempie il vuoto e il silenzio delle istituzioni.

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