Il Gip del tribunale di Palermo Riccardo Ricciardi ha distrutto oggi, al carcere Ucciardone, le intercettazioni telefoniche tra il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, e l'ex ministro Nicola Mancino. La suprema corte, tre giorni fa aveva dichiarato inammissibile il ricorso di Massimo Ciancimino che chiedeva di poter ascoltare, in virtù del diritto di difesa, i colloqui. Cosa che aveva bloccato la cancellazione, prevista in un primo momento per lo scorso 11 febbraio. Nelle motivazioni depositate proprio oggi la Cassazione spiega che le intercettazioni tra il capo dello Stato Giorgio Napolitano e Nicola Mancino devono essere distrutte "con procedura camerale", senza contraddittorio tra le parti, perchè le registrazioni hanno costituito un "vulnus costituzionalmente rilevante".
Sulle telefonate intercettate nell'ambito dell'indagine sulla trattativa Stato-mafia, lo scorso luglio si era aperto uno scontro istituzionale tra il Colle e la Procura di Palermo culminato in un conflitto di attribuzione davanti alla Consulta che ha dato ragione al Quirinale sulla distruzione delle intercettazioni.
Lo scorso dicembre si era poi svolta l'udienza pubblica alla Corte Costituzionale sul conflitto sollevato dal Quirinale e la Corte Costituzionale aveva deciso per la loro distruzione. "All'attività del presidente della Repubblica va riconosciuta immunità giuridica funzionale all'esercizio dei suoi poteri e le intercettazioni telefoniche sono in contrasto con questa prerogativa giuridica – aveva motivato l'avvocato generale dello Stato, Michele Dipace, il conflitto di attribuzione mosso contro i pm palermitani". Per Dipace, le intercettazioni telefoniche non dovevano entrare nel processo penale e non potevano essere oggetto di alcuna valutazione in quanto inutilizzabili, ed invece dovevano essere distrutte, senza un contraddittorio sul loro contenuto: "La Procura di Palermo ha trattato queste intercettazioni come normali intercettazioni, non ha tenuto presente il fatto che siano intercettazioni illegittime – aveva spiegato – perchè riguardano il Capo dello Stato e vietate dall'articolo 90 della Costituzione e dalla legge collegata 219 del 1989". In quelle telefonate Napolitano parlava con l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino, ed è su di lui invece che vertono le indagini portate avanti dalla procura di Palermo, che lo ha rinviato a giudizio per falsa testimonianza nell'ambito dell'inchiesta sulla trattativa.
La storia delle intercettazioni, ricordiamo, è sfociata anche nell'apertura di un procedimento disciplinare a carico del Pm di Palermo Nino di Matteo, cui si contesta di "avere mancato ai doveri di diligenza e riserbo" ma anche del procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo, per una violazione minore, ovvero il non aver informato i titolari dell'azione disciplinare delle violazioni commesse da Di Matteo.
Lo scorso agosto, il pm Di Matteo, rilasciando alcune dichiarazioni al quotidiano La Repubblica, avrebbe confermato l'esistenza delle famose intercettazioni "del conflitto", nelle quali il presidente della Repubblica venne intercettato casualmente, in quanto uno dei due interlocutori. Il Pg Ciani aveva chiesto al sostituto Mario Fresa di verificare, se Di Matteo avesse violato il "principio della riservatezza delle indagini" e se al contempo il procuratore capo di Palermo Francesco Messineo lo avesse o meno autorizzato a rilasciare interviste a La Repubblica.
Di Matteo, alla richiesta della giornalista de La Repubblica di una conferma se ci fossero tra le intercettazioni anche conversazioni telefoniche tra l'ex ministro Mancino e Napolitano aveva risposto: "Negli atti depositati non c'è traccia di conversazioni con il capo dello Stato e questo significa che non sono minimamente rilevanti".
A "mettere in piazza" per primi la vicenda Mancino-Quirinale sono stati il settimanale Panorama e l'articolo del Il Fatto con l'intervista a consigliere giuridico del presidente della Repubblica, Loris D'Ambrosio e solo in seguito ci saranno le domande de La Repubblica rivolte al giudice Di Matteo e la conseguente apertura dell'indagine disciplinare. In merito, il capo della Dda Messineo ha risposto, inviando i chiarimenti richiesti al Pg della Cassazione, che "Gli argomenti di cui il sostituto procuratore ha parlato in un'intervista, non erano coperti da segreto e dunque non c'erano gli estremi dell'illecito".
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